L’età Elisabettiana

È l’età dell’Umanesimo. Età di mutamenti negli orizzonti filosofici, filologici, stilistici, retorici, religiosi; età di nuove scoperte geografiche, scientifiche ed economiche. È l’età dello Stato- Nazione. In Inghilterra: l’età dei Tudor, epoca in cui la Corte diviene il centro della moda e della cultura e le grandi ville nobiliari di campagna, sostituendosi ai monasteri, oramai soppressi, il centro di propulsione e protezione delle arti. È l’età della diffusione del libro, di cui è produttrice e consumatrice la classe media emergente e per cui le autorità avevano posto un vincolo: l’iscrizione nello “Stationer’s Register”. In Inghilterra, nel ’500, proliferavano le librerie, anche in provincia; a Londra, St. Paul’s churchyard era una piazza affollata di “stationers”(1).

A corte, era di moda scrivere; circolavano molti manoscritti dati alle stampe, prima per amicizia, poi per avere una fonte di guadagno. L’interesse culturale e quello commerciale si intrecciavano, ma nacque, comunque, l’amore per la cultura, che non solo dava la possibilità di progredire socialmente, ma era considerata la fonte della virtù, aveva, insomma, una connotazione di tipo morale. L’uomo, coltivando i propri poteri intellettuali, poteva innalzarsi e sentirsi in armonia con l’Universo: una parte di questa armonia. Sotto il governo di Elisabetta Tudor molte cose cambiarono, anche il modo di guardare alla propria lingua.

L’inghilterra rinascimentale non aveva modelli letterari come Boccaccio, ma cominciava ugualmente ad apprezzare, in prosa, la corposità e la materialità concreta della lingua parlata, la forza dei monosillabi, che, in versione scritta, avevano un loro significato e una loro bellezza, man mano anche letteraria. What is written with the ear must be read with the ear: “ciò che viene scritto con l’orecchio dev’essere letto con l’orecchio”, questa la teoria degli inglesi rinascimentali sulla forza e sulla musicalità della parola trasformata in scrittura. Ma, alla base della prosa elisabettiana, c’è, comunque, un grande studio stilistico e la commistione tra spontaneità della lingua parlata e logica della retorica. Su questa lingua, forte fu l’influsso del latino e la conoscenza dei primi libri italiani che circolavano in Inghilterra: oltre all’opera di Boccaccio, Il Cortigiano di Castiglione: opera letteraria e di divulgazione di uno “stile di vita”: quello in voga nelle corti italiane del ’500.

Cultura italiana e cultura inglese

È davvero sorprendente l’influenza italiana sulla cultura inglese del XVI secolo. I contatti tra le due culture furono, in principio, soprattutto di carattere commerciale e finanziario. Sin dall’inizio del XV secolo, infatti, i marinai e i mercanti italiani estesero il proprio dominio in tutto il mondo.
Ai tempi di Enrico VIII, l’Inghilterra si collegò a questo mondo concludendo affari commerciali con Firenze e Genova. I mercanti italiani importavano lana e tessuti ed esportavano mercanzie e manufatti di vario genere, allora sconosciuti in Inghilterra. Rapporti a cui seguì l’installazione sull’Isola di Banche dirette da italiani, con l’arrivo delle prime famiglie fiorentine: nel XIV secolo: i Bardi e i Peruzzi; in quello successivo:i Medici. Man mano, gli inglesi ne acquisirono i metodi finanziari e commerciali.

L’Italia, soprattutto Venezia (all’epoca Porta Europea verso l’Asia) esportava oltre Manica oggetti di lusso, sete, stoffe preziose, damaschi e gioielli orientali. Conosciutissimi erano, in Inghilterra, i vetri di Murano e gli specchi veneziani. Tanti gli artisti italiani a Corte, già sotto il regno di Enrico VIII, che, aiutato dal loro gusto, riuscì a migliorare l’architettura dei “docks’’ di Londra e a costruire, con una certa eleganza e con la perizia degli operai italiani, il Palazzo di Hampton Court. Gli Inglesi stimavano gli italiani anche per le loro capacità politiche e diplomatiche. Ai tempi della regina Elisabetta I l’italianizzazione raggiunse il suo massimo grado, coinvolgendo la stessa Sovrana:

The young Queen had been educated by the Italian
method, she spoke Italian like a native, her well-known bold
signature, “Elizabeth R.”, is in Italian script (2).

Era un fatto comune trovare tra i documenti di Stato lettere italiane e lo stesso comportamento politico della regina si può considerare deliberatamente “machiavelliano”. Questo processo di italianizzazione divenne così radicale da influenzare fortemente lo sviluppo della società, della cultura e di gran parte della produzione letteraria inglese. Il XVI secolo, fu anche il secolo delle traduzioni dall’italiano.

Il Rinascimento, d’altronde, rappresentava non solo l’Italia, ma l’intero movimento culturale europeo, greco, latino, spagnolo e francese(3). La possibilità di viaggiare sul continente per approfondirne la conoscenza era un privilegio degli aristocratici, non di tutti coloro che desiderassero completare la propria formazione: quindi, l’unico modo per divulgare le idee e i costumi degli stranieri, ponendoli alla portata di tutti, era tradurre i loro libri(4).

Nelle traduzioni, il cui scopo principale era quello di allargare gli orizzonti del pensiero inglese, i traduttori, pur non essendo molto accurati, trovavano delizioso riportare nella propria lingua opere di autori stranieri, cercando di trasmettere ai lettori la propria gioia. Interpretavano i testi, ma, sia che traducessero opere di una certa levatura culturale, sia che si trattasse di libri popolari, il loro inglese idiomatico rimaneva e risultava, ad un tempo, genuino e vigoroso, pittoresco e dignitoso(5).

Il particolare linguaggio delle traduzioni influenzò tutta la produzione letteraria: dalla Bibbia, alla Poesia, alla Prosa. Il genere più tradotto dall’italiano fu quello delle Novelle. I giovani letterati delle università inglesi esplorarono questo enorme corpo letterario costituito da brevi racconti in prosa, cercando di trarne personali vantaggi e migliorando il proprio stile di traduzione in traduzione(6).

Lo storico della letteratura inglese Lewis definisce la novella

...an elaboration of the oral anectode. Interest is concentrated on what happened: character, sentiment, manners, and atmosphere exist only for the sake of the event (7)

e ne individua la funzione storica nel produrre forme più alte di fiction e nel fornire dei plots da sviluppare drammaticamente(8).

Le novelle, per la loro narrazione realistica, si rivolgevano ad un pubblico più vasto, poco colto e raffinato, pur includendo spesso elementi di una certa eleganza quali, ad esempio, lettere d’amore scritte in uno stile artificiale e dirette a gruppi sociali che avevano poco gusto per il discorso e l’azione naturali. Le raccolte di novelle avevano, a volte, una cornice, un filo conduttore in una struttura, che dava unità alle singole narrazioni. Questo tipo di raccolte dette, appunto, Framed Novellas, si diffuse, all’epoca, in Inghilterra sull’esempio di Boccaccio. Questa è anche la forma di Aurelia.

La novellistica italiana, sviluppatasi nel ’500 sulla scorta di quella trecentesca, aveva come scopo principale quello di “dilettare”, anche se lo mascherava con un intento educativo. I novellieri ruppero con la tradizione umanistica e classicista, sostituendola con un nuovo principio estetico, che aiutasse a rappresentare direttamente la vita e la realtà sociale nell’arte narrativa. Era, questo, un espediente utile a liberare l’arte dalla precettistica formale ed ufficiale della cultura accademica, che andava sempre più isterilendosi in schemi e regole(9).

La novella ha un’importanza di carattere storico, da un punto di vista sociale e politico, oltre che narrativo-poetico, e si rivela importante soprattutto per la storia del costume cinquecentesco. Autorevole è l’intervento di Benedetto Croce su questo particolare modo di ritrarre il reale:

Ai nostri giorni (le novelle) piacciono per quel che esse apportano di vecchio sentire e di vecchi costumi, o per altri meno intellettuali svaghi dello spirito, ma soprattutto perché si crede di vedervi uno specchio dell’Italia del Rinascimento, così come suol essere atteggiata dalle fantasie dei letterati o degli estetizzanti. Nel qual ultimo riguardo giova non dimenticare che le novelle sono novelle, e solo assai indirettamente testimonianze di vita e, in ogni caso, uno tra molti e diversi documenti che bisogna sapere interrogare per ritrarne la realtà storica: diciamo quella degli storici e non quella dei letterati ed estetizzanti (10).

La materia delle novelle, in effetti, non sempre assumeva una forma poetica, ma rimaneva allo stato cronachistico, di ragguaglio di fatti accaduti, creduti o immaginati, che suscitavano curiosità e divertimento. Vero teorico di questo tipo d’arte fu Bandello. Altri autori, come Giraldi Cinthio, ne curarono lo stile letterario e la lingua; altri, toscani, disponevano della purezza della lingua nativa, ma non per questo ebbero stile(11).

L’atteggiamento degli italiani nei confronti della novellistica rinascimentale è stato influenzato dal continuo paragone con Boccaccio. Cosa che, secondo Croce(12) non aveva senso e gene rava giudizi incompleti. L’opera di Boccaccio “simboleggiava l’idea dell’arte, della bellezza e della poesia”; i suoi successori cinquecenteschi non possedevano queste categorie, in base alle quali, invece, si pretendeva di giudicarli. Dove furono, infatti, nel Cinquecento i novellieri-poeti che gareggiassero col Boccaccio, mostrando con lui alcuna affinità spirituale?(13)

La critica straniera, accogliendo con un atteggiamento positivo i racconti dei novellieri italiani del Cinquecento, li rese materia tradotta e imitata in tutte le lingue e ne trasse spunti di trame per la drammaturgia. Gli stranieri esaltarono soprattutto l’efficacia della rappresentazione dell’“esistenza umana” in quelle

...pitture della vita appassionata degli italiani, le quali stimolarono e fecero circolare più agile il sangue nelle vene degli uomini del Settentrione e li riempirono di un senso, che a essi prima mancava..(14)

Boccaccio nella cultura inglese del Cinquecento.

I novellieri italiani più seguiti, tradotti e imitati furono Boccaccio, Bandello e Giraldi Cinthio. Le opere di Boccaccio raggiunsero la popolarità europea già tra i contemporanei e furono conosciute anche in Inghilterra nei primi anni del ’400, grazie all’opera di divulgazione fatta da Chaucer(15).

Le opere boccacciane più lette e apprezzate dalla classe colta del ’400 furono, però, quelle latine. Il Decameron costituiva, invece, la lettura preferita della classe mercantile, che ne trovava le novelle molto divertenti e, avendone la possibilità finanziaria, ne fece trascrivere i manoscritti a proprio uso(16).

Per tutto il secolo successivo il pubblico del Decameron fu costituito dalla nuova borghesia e da alcuni esponenti dei cosiddetti circoli colti, che lo apprezzarono per lo stile e la lingua, più che per il contenuto. Il ’500 inglese ebbe il merito di scoprire “Boccaccio-novelliere”. Tuttavia, si tralasciò la considerazione della vasta tematica boccacciana, soprattutto per ragioni morali e pregiudizi(17) Forti limitazioni, dunque, influirono sulla scelta delle novelle facendo preferire quelle che riferivano di comportamenti esemplari. Quando si riportavano dei racconti ritenuti non edificanti, se ne dava giustificazione nelle prefazioni, indicandoli, comunque, come esempi da non seguire; oppure, venivano rimaneggiati e, quindi, modificati in maniera da risultare conformi alle esigenze della morale del paese, che li accoglieva. Le novelle divennero veicolo di discredito per il clero cattolico; i personaggi borghesi venivano “trasferiti” nelle classi nobiliare e gentilizia, in cui si impartivano le giuste norme per formare il perfetto cortigiano o il cittadino rispettoso dell’ordine costituito(18). L’autore elisabettiano, in questo modo, non faceva altro che svolgere il proprio compito: un’azione edificante, che lo costringeva a modificare e limitare la vera essenza delle beffe boccaccesche(19).

Galigani osserva:

“...è senz’altro curioso notare come questa cecità nei riguardi del significato morale complessivo dell’opera, paradossalmente sia stato dettato proprio da considerazioni di carattere moralistico. La licenziosità di alcune novelle interpose una pesante cortina tra l’opera del certaldese e i suoi modesti adattatori inglesi"(20).

Il ’500 inglese non intuì il valore unitario del capolavoro boccacciano, tanto che la prima traduzione integrale dell’opera si ebbe solo nel 1620. La prima Novella, tradotta da Sir Thomas Elyot, che la inserì nella sua opera The Governour (1531), fu quella di Tito e Gisippo.

Per Margareth Schlauch:

Elyot’s treatment is free in matters of detail, since he employs his own tecniques in the discourses, omits and adds various ornaments of Style (rhetorical questions, mythological allusions, sets of balanced sentences, etc.). He heightens the gestures of emotional friendship between the two men while leaving the heroine as pallid as ever. The language, though studied and higly literary, is at the Same time pleasingly fluent(21).

Nel 1587 fu edita la traduzione di Amorosa Fiammetta(22), il cui risultato sembrò un po’ artificioso e sentimentale, ma importante, secondo la Schlauch(23), perché offriva un primo esempio di narrazione da parte dell’eroina della storia. Le sue esperienze erano riferite con un effetto “in crescendo”, proprio grazie alla forma autobiografica.

L’affermazione del Decameron nell’Inghilterra del ’500 è da considerare, in particolare, per la sua lezione stilistica, che, mettendo in rilievo come la novella potesse avere propria struttura e autonomia narrativa, invogliò anche la prosa inglese a cercare una propria dimensione e un proprio stile, che, al momento, era ancora solo un’idea, non del tutto operante, non del tutto espressa.

Nella situazione linguistica del tempo si trattava di scrivere in una prosa che avesse l’eleganza e la compostezza del linguaggio classico, utilizzando, però, la lingua inglese evolutasi per lo più oralmente(24).

La caratteristica peculiare della prosa elisabettiana è proprio la combinazione degli elementi della lingua parlata con quelli più elaborati dell’esercitazione retorica, con la tendenza all’imitazione dello stile ciceroniano. È significativo, che gli scrittori elisabettiani non avessero uno stile uniforme, ma ognuno si contraddistinguesse per una caratteristica propria(25). Ciò era possibile proprio perché, pur essendo la lingua scritta frutto di esercitazione retorica, non ne possedeva l’impersonalità. Lo conferma lo stesso metodo compositivo degli scrittori dell’epoca, infatti

An Elizabethan writer often put his sentences together with the idea that they would be spoken aloud(26).

Questo metodo si rifletteva anche sulla punteggiatura, basata sul significato, che serviva a scandire il ritmo e i contrasti logici, enfatizzando il discorso(27). Certamente esiste tra la prosa boccacciana e quella inglese una forte differenza: gli scrittori elisabettiani, infatti, per lo più attratti dall’Eufuismo, dimenticarono la lezione di essenzialità e di semplicità, che era nella prosa di Boccaccio(28).

Le strade dei due tipi di prosa divergono. Quella del trecentista italiano è legata ai contenuti ed è espressione di tutte le più sottili sfumature della realtà; quella inglese, conduce invece a risultati altamente ornamentali e si collega alla tradizione accademica. Nelle traduzioni di Painter, ad esempio, si nota la tendenza a spezzare il periodo boccacciano, a togliere qualche frase e cambiare la punteggiatura e la subordinazione delle proposizioni, per snellire la narrazione. Painter opera anche delle aggiunte:oltre ai commenti morali, la moltiplicazione quasi sistematica delle coppie di sinonimi in sostituzione di denotazioni semplici nel testo originale(29).

Prendendo spunto dalle considerazioni fatte dai personaggi di Boccaccio, a conclusione delle novelle, o dai commenti alla narrazione, fornisce, poi, ogni novella di un’introduzione e, a volte, anche di una conclusione di ragionamenti morali, creando, così, una vera e propria concatenazione di riferimenti tra una novella e l’altra. Galigani considera queste “le briciole, non dico della struttura, ma della cornice boccacciana”(30).

La stima che gli uomini colti dell’Inghilterra del ’500 ebbero per Boccaccio si giustificava con il fatto che la sua fu un’opera “poetica”, che racchiudeva il senso tragico della vita e narrava la storia di Ognuno. Penetrando l’umanità dei suoi personaggi, riusciva a trasfigurare in poesia le piccole miserie, proprie dell’uomo comune, sempre combattuto tra moralità e passionalità.

Bandello e Giraldi Cinthio nel ’500 inglese

Dagli inizi degli anni ’60 del XVI secolo, Matteo Bandello divenne una delle fonti più usate dagli scrittori elisabettiani(31). Lo testimoniano le tante trame di commedie dell’epoca, tratte dagli intrecci delle sue novelle. La sua influenza interessò, naturalmente, anche lo sviluppo della prosa(32). Gli inglesi spesso traducevano le novelle di Bandello dalle versioni francesi di Boaisteuau e di Belleforest. In queste traduzioni, cercavano di attenersi al testo, ma facevano una selezione dei problemi delle novelle scelte e, a volte, apportavano mutamenti o aggiunte, allontanandosi dal testo originale(33).

Il solo a tradurre direttamente dall’italiano fu W. Painter(34). In genere, erano poche le innovazioni e le aggiunte al testo originale(35). Ciò che la cultura inglese poteva mutuare dall’opera di Bandello era, in effetti, solo lo spunto delle trame e alcune loro situazioni, quelle adattabili allo stile di vita inglese del tempo. Spesso, le poche novelle tradotte venivano trasformate “into rhetorical edyfing love-pamphlets with which the Elizabethan jest-books and related novels have hardly anything in common”(36) e la materia letteraria, che influenzava il mondo culturale inglese non proveniva dalle novelle italiane di Bandello, ma piuttosto da storie in cui, se i soggetti erano mutuati da Bandello, l’atmosfera, la tecnica e il tono erano quelli in voga nel romance francese di Amadis(37). L’opera di Bandello è insomma molto singolare e lontana dalle esigenze stilistiche della prosa elisabettiana. Bandello stesso riconosceva e professava di “non avere uno stile” e di scrivere, in una prosa zeppa di “lombardismi”, novelle che avevano il valore di storie, ossia di ragguagli e cronache, poiché “ogni storia, ancorché scritta fosse nella più rozza e zotica lingua, sempre diletterà il suo lettore”(38). Per Getto:

È difficile trovare delle novelle che nel rigoroso ritmo di una continua narrazione abbiano un’estetica compiutezza. In tutte, anche nelle migliori, rimane sempre qualcosa di provvisorio. Eppure l’opera resiste nel tempo: ed esiste per una sua vitalità diffusa, per il suo significato d’insieme(39).

e individua il valore del Novelliere di Bandello (1551-1573) non nei singoli racconti, ma nella loro totalità

...nel numero dei casi, delle persone e delle cose, nello spettacolo infinitamente mobile, che il libro, considerato nel suo effetto totale, sa offrire(40).

Bandello si preoccupò esclusivamente dell’unità narrativa della novella. Non creò una struttura in cornice, fece solo precedere la narrazione da una lettera, che era, allo stesso tempo, una dedica ad un personaggio dell’epoca ed una descrizione delle circostanze storiche: è, questa, una variazione della struttura in cornice. Bandello fu, dunque, un “innovatore”, che diede vita ad un’“Arte minore”, che sarà il vero e proprio romanzo moderno(41).

Rimane, comunque, un “letterato”: le sue stesse fonti sono, nella grande maggioranza dei casi, “fonti letterarie”: da Machiavelli, a Vasari, a Doni(42).

Bandello guarda ai suoi personaggi con simpatia. Appartengono alle più diverse categorie, sono spesso coinvolti in grandi passioni, ma trovano sempre, con la loro intelligenza, il modo di districarsi e uscire anche dalle situazioni più difficili. Alcune novelle sono di carattere romantico e ottimistico(43), altre sono tragiche e derivano da una visione pessimistica dell’uomo e del suo destino(44).

Giraldi Cinthio esprime un tipo di cultura diverso, frutto dell’affermazione della Controriforma e dell’ormai imperante aristotelismo, che ne accentuano l’intento morale e la ricerca della catarsi. Non per questo, tuttavia, la novellistica ne fu purificata: non era raro, infatti, che i novellieri si abbandonassero alla descrizione di amori illeciti o a particolari licenziosi. Giraldi Cinthio scrisse gli Ecatommiti, una raccolta di 112 novelle, i cui protagonisti, per sfuggire alle conseguenze del “Sacco di Roma”, navigano da Civitavecchia verso Marsiglia e, durante la navigazione, narrano storie d’amore, di atti eroici, di fatti romanzeschi, di burle e facezie. C’è una certa ambizione allo stile dotto, ma Cinthio fu più un erudito, che un artista; c’è l’atteggiamento bandelliano verso la narrazione pura e il romanzesco, ma spesso compaiono elementi truculenti, che, soprattutto in amore, descrivono con evidente compiacenza la ferocia del castigo dopo il peccato(45). Tra i suoi racconti il più famoso, noto anche alla cultura elisabettiana, rimane la novella del Moro di Venezia, da cui Shakespeare trasse il tema dell’Othello.

Note

1 Venditori di Libri, che offrivano a prezzi accessibili i propri prodotti. I libri erano ormai “prodotti di mercato”, che portarono alla nascita di una nuova figura: lo scrittore professionista.

2 M .A. Scott, Elizabethan Translations from the Italian (II), New York , 1916, chap.I, par.1, pag. XL. Più avanti Scott riporta un aneddoto: “...we get a glimpse of Elizabethan Italianization more far-reaching in its influence than that of any individual Italian, when we read how in her last illness the great queen turned wearily away from matters of state, yet delighted to hear some of the Hundred Merry Tales”

3 Ivi, par. III, pag. XLV.

4 Ibidem: “There never has been a time when Englishmen were more courious to know the world of mind and matters was like. The same spirit of adventure that carried Sir Francis Drake around the globe induced the Elizabethans to try new forms in literature, and most of the new literary forms came to them trough translations from the Italian and French”.

5 Ibidem.

6 M.A. Scott, op. cit, introd. pag.4. O’ Brien (introd. a) in Elizabethan Tales, pag.12

“We must look to the new humanism of the Renaissance to find the springs of this new form, and it is primarily to the Tudor translators that we must turn. The Elizabethan Tale came to life as an aristocratic mode. The expanding world of change set the English mind wandering abroad whence it brought back cargoes of imaginative treasures from Italy, France and Spain”.

7 C.S. Lewis, English Literature in the Sixteenth Century, Oxford 1954, pag. 309. Una definizione senz’altro più completa è quella di Margareth Schlauch, Antecedents of the English Novel 1400-1600 (from Chaucer to Deloney), London, 1963, chap. V, pag. 38: “...certain anti-romantic, satirical or quasi realistic tales were spoken of as novelle, in contradistinction to medieval exempla and fabliaux the distinction rested on two main differences. First of all, the novelle were written in prose, not in verse (as with the fabliaux): second, they were not obviously designed for homiletic purposes (as with the exempla). They were aimed at a new group of readers and were elaborated with much more detail than their m e d i e v a l predecessors. They advanced at a more leisurely pace, making use of the stylistic decorations fashionable in the Renaissance. The setting is typically urban and mercantile even when the characters bear aristocratic titles... As for rhetorical elements, they are as conspicuous here as in the longer prose narratives, though on a smaller scale”.

8 C .S. Lewis, op. cit., pag. 309.

9 Da: N. Sapegno, Disegno Storico della Letteratura Italiana, Firenze 1948, cap. XII, pagg. 263-64: “...lo sviluppo della novellistica cinquecentesca in parte si adopera a rielaborare, adattandola allo spirito dei nuovi tempi, la varia materia delle letture amene, e in parte (nei migliori) si rivolge alla ricerca e all’attuazione di una diversa forma narrativa, più ampia e più spedita, più realistica e meno letteraria, con più vita insomma e meno arte, e come tale influisce direttamente sul sorgere della novella e del romanzo moderno in Europa, e in certa misura li precorre”.

10 B. Croce, ‘’Novella’’, in Poesia Popolare e Poesia d’Arte, Bari, 1967, (V), pag. 486. Oltre, a pag. 487, specifica: “Quei novellieri cinquecenteschi trattarono solitamente la materia medievale e boccaccesca degli inganni delle donne ai mariti e delle astuzie dei giovani innamorati, delle beffe fatte agli sciocchi delle avventure straordinarie e passionali; e, infine, in modo sempre più copioso, quella degli atti sanguinari, crudeli, delittuosi, attinti alle memorie del passato e alle cronache contemporanee. Talvolta si aggiungevano gli aneddoti riferiti a figure strane e grottesche e caricaturali; e ci fu altresì qualcuno, lo Straparola, che mise le mani sulle fiabe tradizionali e popolari degli orchi e delle fate”.

11 Cfr. Ivi, pag. 487.

12 Ibidem

13 Ibidem.

14 Ibidem

15 Cfr. Edmund Reiss. “Boccaccio in English Culture of the Fourteenth and Feefteenth Centuries’’, in G. Galigani (a c.d.) Il Boccaccio nella Cultura Inglese e Angloamericana, Firenze 1974, pag.15.

16 Cfr. Ian Greenless (introd. a) G. Galigani, op. cit., pag. 25. Il Decameron esprimeva, in effetti, le esigenze di una società nuova, in ascesa e in espansione, che somigliava molto a quella dell’Inghilterra del Cinquecento (Da: G. Boccaccio, Tutte le opere, a cura di V. Branca, Brescia 1969, pref. pag. 8):

“Il Decameron è la poetica ed eterna ‘leggenda di ognuno’ (dell’uomo sempre in lotta fra il male e il bene, sempre diviso fra i piaceri terreni e le speranze eterne), rappresentata al centro della grandiosa ‘commedia umana’ della società medievale europea, che muovendo dall’assetto imperiale e feudale si era forgiata un nuovo volto e una nuova vita nella civiltà dei comuni e delle nuove compagini regionali e nazionali, sotto la spinta poderosa della borghesia e della sua audace organizzazione capitalistica”.

17 G . Galigani, “Boccaccio nel Cinquecento inglese”, in G. Galigani (a c.d.) op.cit., pag 35: “L’assenza di una visione prospettica del Decameron nel suo complesso portò con sé il mancato riconoscimento di una buona parte dei temi dorsali dell’opera. La celebrazione dei fasti dell’ingegno, dell’acume e della saggezza in tutte le loro manifestazioni passò inosservata; il tema della fortuna fu forse quello che trovò più favore, ma fu piegato a intenti immediatamente moralistici; il tema dell’amore ebbe qualche eco in una generica platonizzazione, che si discosta nettamente dai due poli, con tutti i loro stadi intermedi, dell’amore cortese e dell’amore carnale, che con le loro leggi signoreggiano in tante novelle boccacciane. Ma vi è un tema, la celebrazione della classe mercantile, che sembrerebbe di grande attualità per il lettore elisabettiano e la cui omissione sorprende appunto per l’analogia che parrebbe di scorgere tra l’Inghilterra della fine del ’500 e l’Italia dei tempi del Boccaccio”.

18 Ivi, pag. 37

19 Cfr. S. Del Marco, “La ‘beffa’ boccaccesca in alcuni ‘jests books’ elisabettiani’’, in Galigani, (a c.d.) op. cit. pag. 165.

20 G . Galigani, “Boccaccio nel Cinquecento inglese”, in G. Galigani, (a c.d.), op. cit., pag. 32.

21 M . Schlauch, op. cit., chap V, pag. 32.

22 Amorous Fiammetta, London : I.C. Thomas Gubbin and Thomas Newman; 1587; translated by G. Gionano del M. Temp (pseudonimo di Bartolomew Young).

23 M . Schlauch, op. cit., chap. V, pagg. 127-8

24 D. J. Harris, (a c.d.), Elizabethan Prose (introd. a), pag. 15, nota che la tradizione orale nello sviluppo della prosa elisabettiana fu importante per due ragioni: “It helped to ensure the use of language to express the whole of a man’s personality his istinct, senses, imagination and emotion as well as his reasoning, and it balanced the art and polish of the Ciceronian ideal with a more robust, impromptu vigour”.

25 Ivi, pagg 18-19: “We cannot truthfully say there is an ‘Elizabethan Style’ for despite their respect for authority the Elizabethans knew they must experiment, and they knew that language was for each man to use in the way that suited him”.

26 Ivi, pag. 14.

27 D. J. Harris (a c.d.), op. cit., Appendix I, pag. 85: “There is a great variety of usage; certain writers, for instance, are much addicted to the use of a sentence-ending comma followed by a capital letter, which presumably combined speed with emphasis. Many of the commas which strike us as unnecessary interruptions (“Apollo, was god of shooting”) are clear indications of emphasis, and there is no doubt that the Elizabethans did not find their long sentences as confusing as sé do partly because their memories were better trainded partly because they were used to them, but also partly because they knew how to use the punctuation to bring out the pattern and rhythm into which the sense had fallen”.

28 G . Galigani (a c.d.), op. cit., pag. 34: “... è vano cercare anche negli scrittori inglesi più coltivati e artificiali qualche eco di quell’impiego magistrale che dei vari tipi del ‘cursus’ medievale e del ‘dilettare poetico’ fa il Boccaccio nella sua prosa; la ricerca di una prosa artistica che si avvicini quanto più può alla poesia, si risolve nei parallelismi, bilanciamenti e contrapposizioni delle similitudini tratte dalla pseudo-scienza e nei proverbi...”.

29 Ivi, pag. 47

30 Ivi, pagg. 46-47.

31 M . Schlauch, op. cit, chap. V, pag. 143.

32 Cfr. R. Pruvost, Matteo Bandello and Elizabethan Fiction, Paris 1937, chap. III, par. I, pag. 199.

33 Ivi, Foreword, pag. 5.

34 Ibidem.

35 R. Pruvost, op. cit., chap. I, par. 5, pag. 67: “... the work of translating from the Italian went on. Nothing very new or material, however, was henceforth to be added to the translations from Bandello. Between the years 1568 and 1576 especially, though several productions evince an interest in what he had written, only one new story is added to those that had previou- sly been done into English. And this at the beginning of the period”.

36 Ivi, chap. II, par. I, pagg. 199-200

37 Ivi, Foreword, pag. 7.

38 B. Croce, op. cit., pag. 487.

39 G . Getto, ‘’Significato del Bandello’’ in Lettere Italiane, VII, n. 3, Luglio- Settembre 1955, pag. 317

40 Ibidem

41 Salinari-Ricci, Storia della Letteratura Italiana, Bari 1974, vol II, cap. VI, pag. 346.

42 Ivi, pag. 345.

43 R. Pruvost, op. cit., chap. II, par. 1, pag. 104.

44 Ibidem 45 N. Sapegno, op. cit., cap. XII, par. 7, pag. 268: