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Quel che non sapevo
di Grazia Napoli





Immagini ben definite. Quasi scolpite dalla china, dal gessetto, dal carboncino. Immagini, che nascono da un’acuta, particolareggiata osservazione della realtà. Immagini, che esistono e insistono ancora nella memoria di noi Lucani. Ma immagini, che è sempre più difficile osservare ancora dal vivo.

Eppure, tutti noi riconosciamo nei volti delle donne affaticate e precocemente invecchiate, negli oggetti della quotidianità contadina, negli scorci di un paese, che può essere qualsiasi paese lucano, il segno di una cultura, che non può esserci estranea; che viene da lontano, ma che non è ancora lontana; che ci appartiene, nonostante il progresso, nonostante la tecnologia, nonostante l’affrancamento da miseria, povertà ed isolamento.

Nei disegni di Pasquale Zamparella c’è la nostra Lucanità. Che vuol dire: ritratto di costumi, di usanze, di paesaggio, ma soprattutto ritratto di valori. Perché quei volti, quegli interni, quei vestiti antichi e sdruciti, quella vecchia fontana-abbeveratoio, che troneggia ovunque, all’ingresso o al centro dei nostri comuni, quegli arnesi di cucina, oggi usati solo – anche se con un  po’ di vezzo - per ornamento nelle nostre case moderne, sono simboli, nel significato più certo di questa parola.

Sono il Simbolo di un modo di vivere, di una mentalità, di una cultura. Sono il Simbolo di una vita fatta di fatica e onestà, di lavoro e caparbietà. Sono il Simbolo di una rassegnazione secolare, che tutti noi sappiamo, è solo apparente.
Il tratto deciso, i contorni definiti, la precisione con cui Pasquale Zamparella ritrae un abito, un volto, uno sguardo; l’ambientazione in cui personaggio e territorio trovano sempre un’intrinseca continuità; il particolare di un muro scrostato o di due mani rugose unite in preghiera, sono il segno di un’osservazione della realtà, che non è solo in superficie. C’è sempre qualcosa che va oltre. Raccontando per intero una storia. Storia di uomini e di civiltà.

Ho conosciuto poco e solo come osservatrice la civiltà contadina, eppure ricordo, come se li avessi conosciuti davvero, quei volti, quelle case, quelle abitudini. Forse sono state anche le mie. Senza saperlo.


  
  
  

 
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