|
Il castello sull’Hudson di Renato Cantore
di Grazia Napoli
“Il castello prendeva forma settimana dopo settimana, solido come la roccia di granito nella quale erano ben piantate le sue fondamenta; elegante come le sue pareti di pietra bianca fatta venire direttamente dal Kentucky, imponente per le dimensioni…il grande castello di marmo bianco con le quattro torri merlate fu completato con le sue trenta stanze e tutte le raffinate rifiniture, nell’ autunno del 1909”.
C’era una volta….Potrebbe avere l’ incipit delle favole questa storia vera, che Renato Cantore ricostruisce con dovizia di particolari, documenti alla mano, ma anche con cuore e un pizzico di fantasia. Una storia che parte dalla piccola Basilicata. Dal suo interno. Da uno dei paesi più belli e “originali”, luogo incantato abbarbicato alle rocce, dove le case sembrano spuntare direttamente dalla roccia. Come il castello di questa favola moderna.
Paternò non è un cognome di origine lucana. Ma è come se lo fosse. Naturalizzato tra quelle incantevoli montagne, che sono le Piccole Dolomiti. Ecco perché chi legge questa vicenda, anche se il protagonista non ha più nel nome quell’ accento finale, sente che è parte della propria storia, delle proprie tradizioni, dei valori forti e radicati nell’ animo dei lucani, duri a morire, anche se si vive oltreoceano.
Charles Paterno, nato a metà ‘800 a Castelmezzano come Canio Paternò ed emigrato a sei anni in America con la madre e i fratelli, per ricongiungersi al padre Giovanni, partito anni prima, conserva, fino all’ ultimo giorno, questi valori, questi sentimenti, questo modo d’essere lucano. Nonostante la fortuna finanziaria, la ricchezza, la capacità inventiva e imprenditoriale; nonostante il fiuto per gli affari. I valori di quest’uomo, un medico prestato all’ edilizia della metropoli newyorkese, rimangono ancorati a quegli insegnamenti. Conserva fino all’ ultimo il suo “essere lucano”. Nelle piccole come nelle grandi cose. Le diverse generazioni dei Paterno riunite a tavola ad onorare nei giorni di festa il “sapore antico della pasta”, su cui grattugia personalmente una manciata di formaggio; la solidarietà: quella del vicinato di Castelmezzano, che si ripropone nel “vicinato americano” di Litte Italy, ma anche sui suoi grandi cantieri, dove arrivano in tanti dal paese, per costruire palazzi, grattacieli, interi quartieri; l’ospitalità, la generosità, la capacità di amare senza remore. La voglia e la forza di andare avanti o ricominciare, sempre.
Tutto questo, in un uomo che ha saputo essere anche l’incarnazione del sogno americano. Di un imprenditore in grado di conquistare una metropoli in espansione e di intercettare le esigenze dei cittadini dell’immediato futuro. Una castello costruito con ogni comfort sulla collina di Manhattan, ma anche un quartiere giardino, per chi vuole ritrovarsi in città, ma nella natura. Concetti di vivibilità all’avanguardia, più che moderni.
Un protagonista anche della vita culturale, Charles Paterno. Nella zona delle sue costruzioni nasce la Columbia University; qui rimane la Biblioteca donata a suo nome. Un patrimonio librario, che è anche identità culturale e morale.
Charles Paterno – con i fratelli e i cognati italiani, alcuni arrivati da Castelmezzano - è stato anche tra i fondatori e finanziatori di “Casa Italia”. La casa degli italiani a New York. Un legame che ritorna – quello con l’Italia – nell’amicizia con Prezzolini e nella collaborazione con il sindaco di New York, l’italo americano Fiorello La Guardia.
Una italianità che rimane, nonostante il sogno americano diventato realtà. Chi di noi, nato in Basilicata, non ricorda, nel paese d’origine, i pulcini dipinti di rosso, di verde, di giallo, di blu nel giorno di Pasqua? Un regalo e un segno benaugurale per i bambini. Un “segno” che vive ancora nella grande casa newyorkese di Charles Paterno, per i suoi nipoti. È con questa immagine tenera, che si apre il libro di Cantore. Un’immagine, che introduce con forza in un ambiente ancora “sanamente” lucano.
Un ambiente che l’autore – oggi - ha potuto ricostruire grazie ai documenti, agli oggetti, alle foto, ai progetti, che Charles ha lasciato ai nipoti in alcune cassapanche, come si usava dalle nostre parti. L’autore ha incontrato una di queste nipoti. Fonte preziosa di informazioni sui fatti, la storia, la genealogia, l’eredità di un ramo di un’importante famiglia, ancora presente in Basilicata, con nomi e professioni affini, peraltro. E’ la storia di un uomo e della sua famiglia, ma anche una grande testimonianza di quella che è stata l’emigrazione lucana nell’ 800. Storia di dolore e fatica, che, spesso – le cronache oggi ce lo raccontano – si sono trasformate in straordinarie esperienze. Successi che - in parte - riscattano il dolore, la povertà, la disperazione di intere generazioni partite da Castelmezzano – e non solo – in un lungo viaggio, iniziato tra le mulattiere delle piccole Dolomiti, giù fino alla ferrovia per Potenza, incontro al sogno americano su una nave carica di disperati. Storie che possono somigliarsi. Ma mai fino in fondo.
|
|
|
|
|
|