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41 anni fa
di Grazia Napoli
La data del 23 novembre 1980 è da 41 anni indicata come lo spartiacque del cambiamento in Basilicata, quando le parole d' ordine erano ricostruzione, sviluppo, lavoro. Da allora, la nostra regione ha mutato volto e ha sperimentato successi e nuove cadute.
All'indomani del terremoto sono stati investiti dallo Stato oltre 3.500 milioni, di cui 3.000 per abitazioni e infrastrutture e circa 500 per il finanziamento delle aziende industriali. La ricostruzione abitativa è praticamente finita, anche con buoni risultati nei diversi centri, anche se lo spopolamento progressivo - in molti casi - non ne ha consentito l'utilizzo.
Del processo di industrializzazione post terremoto rimangono un'occupazione risicata e molti capannoni vuoti. Nelle aree industriali del terremoto lavorano in circa 2700, a fronte dei 6000 posti ipotizzati. Delle 107 aziende finanziate ne rimangono una cinquantina. 30 non hanno mai aperto, quelle fallite sono state riassegnate o occupate abusivamente. Emblematica la "Sinoro": non ha mai prodotto nulla, ha tre fallimenti e 4 cambi di ragione sociale alle spalle e due condanne per truffa e bancarotta. Oggi sono circa 100 i capannoni finanziati dalle leggi 219, 488 e 64 non utilizzati.
Un patrimonio immobiliare che vale almeno 200 milioni. Ma ci sono anche "Ferrero" a Balvano e "Barilla" a Melfi, ancor oggi unici fiori all'occhiello di quel processo di sviluppo industriale. La Parmalat, invece, non c'è più. Le apparecchiature da Vitalba sono state trasferite in Veneto alla "Vicenzi". Qui in Basilicata sono rimasti 120 disoccupati, nonostante i successivi tentativi di riconversione. Nemmeno uno stabilimento è stato riutilizzato con le nuove norme.
Poi sono arrivati Fiat e Eni. Auto e Petrolio. A innestarsi su uno sviluppo post sisma. Mai davvero decollato
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