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Comunicazione e Sanità. Quanto è difficile?
di Grazia Napoli





Parlare di Comunicazione e Sanità apre diversi problemi, di competenze, deontologici, ma anche di attenzione ai lettori – potenziali pazienti – che hanno il diritto di acquisire notizie e informazioni con la dovuta cautela e sensibilità

E’ un tema su cui ci si interroga, sia tra gionarlisti, che tra giornalisti e medici. In qualche caso è stato fatto anche a livello di categoria, dai rispettivi Ordini profesionali, anche qui in Basilicata.

E’ un tema che mi ha appassionatio per diversi anni, quando per lavoro, mi sono trovata a vivere a metà tra l’informazione pura e la passione per la notizia e le esigenze di attesa, di cautela, di opportunità, che spesso imponevano i fatti da riferire.

E’ stata però una riflessione utile, anche appassionante, in continuo confronto tra due categorie, i giornalisti e i medici, oltre alla dirigenza ospedaliera, che hanno generato in me alcune convizioni fondamentali.

Oggi sono una giornalista Rai, ma da 1995 al 1999 mi sono occupata dell’ Ufficio Stampa dell’Azienda ospedaliera regionale, avvicinandomi, anzi addentrandomi nel mondo sanitario e acquisendone un’immagine e un’esperienza, che mi sono poi servite a valutare le notizie, la loro portata, la loro utilità, anche quando sono andata via.

Noi Viviamo in un mondo invaso dai messaggi e dagli strumenti della comunicazione. Recepiamo, ogni minuto, notizie, persino sui telefonini. Poche parole, che ci portano il mondo in tasca. Viviamo di stimoli comunicativi, a cui rispondiamo in maniera istintiva, senza memorizzare niente, perché si recepisce tutto in fretta.

E così, nell'era della Comunicazione, si comunica poco e male, anche nel mondo sanitario. Intere casistiche, invece, dimostrano che è essenziale attivare processi di comunicazione interna ed esterna, verticale e orizzontale, tra i soggetti che operano in un'azienda sanitaria o ospedaliera, al suo interno e verso l'esterno: cioè verso il territorio, le istituzioni, il mondo sanitario, universitario, scientifico. E’ essenziale attivare la comunicazione, che costruisce, agli occhi del pubblico, l'immagine dell' Azienda.




Comunicare in sanità vuol dire coinvolgere nell' attuazione dei progetti tutti i soggetti necessari, facendo circolare le idee, ascoltando le proposte, aprendosi alle novità, recependo le esperienze di chi è un po' più avanti. E' una mentalità nuova, che va creata, che va insegnata, che va inserita in un processo formativo, da attivare anche in questo senso, a tutti i livelli.

L'Azienda Ospedaliera "San Carlo" di Potenza si è posta questo problema già da qualche anno, avviando inziative anche di formazione, in questo senso. Un progetto ambizioso e necessario, per migliorare la qualità dei Servizi. Perché "comunicare bene", nel modo giusto, con competenza e volontà, può servire a superare ostacoli, incomprensioni, disattenzioni. Comunicare può aiutare la Sanità, gli Operatori Sanitari e soprattutto, i fruitori delle strutture sanitarie.  

Ma come si comunica in Sanità? E' meglio organizzare una campagna pubblicitaria o inserirsi in trasmissioni di informazione? E quanto costa?

Quello del rapporto tra Mass Media e Salute è un tema che può essere molto vasto e che può avere delle connotazioni positive o negative, dipende dai punti di vista. Anche se il senso più ovvio sarebbe quello di dover Collaborare, per arrivare al cittadino.

In Italia, è un binomio poco ricorrente. Eppure, è dimostrato che, negli Stati Uniti e in Paesi del Nord Europa, campagne di comunicazione, ad esempio sulla prevenzione di determinate malattie, hanno ridotto di molto la mortalità e aiutato il paziente a comprendere quando e come richiedere l'intervento del medico o della struttura sanitaria.

I mezzi di comunicazione italiani non riportano vere e proprie campagne informative sulla salute. Anche se di frequente il governo lancia campagne informative sulla prevenzione. Ma si tratta di spot, di slogan, che mirano ad una risposta immediata e mirata, ristretta nel tempo.

Un’azione piu’ incisiva e duratura puo’ arrivare invece dalla collaborazione con i media, da parte dei medici o anche delle associazioni di specialisti, per creare un rappporto proficuo, che aiuti a utilizzare bene tv, radio, giornali e tutti i supporti multimediali a nostra disposizione.

Insomma bisogna Sensibilizzare la stampa locale e nazionale.
Bisogna superare la visione del giornalista sempre e solo a caccia di notizie sensazionali, scandalistiche o di malasanità, perché non è così.

Come ogni categoria anche noi giornalisti abbiamo qualche collega, che intende la professione solo come denuncia negativa, come scoop ad ogni costo – e comunque i casi di malasanità documentati da inchieste giudiziarie, da sentenze, da notizie che siano accertabili anche con l’aiuto dei medici, è per noi, un dovere darle - ma noi giornalisti abbiamo anche delle carte dentologiche, che ci obbligano a verificare le notizie, a stare attenti quando si parla di minori, di disabili e, soprattutto, quando si parla di persone ammalate o vittime di incidenti o di fatti di cronaca, che, per questo finiscono in ospedale. E’ in questi casi che ci si interessa al singolo paziente, ma state certi, anche per noi esiste – accanto alle carte deontologiche – la legge sulla privacy. Non diremo mai – a meno di non voler essere censurati dall’ Ordine o denunciati dagli interessati – il nome di un ferito in un incidente, di un bambino o di una persona a cui siano stati prelevati gli organi. Non è questo il senso della notizia che ci interessa. Eppure la risposta – quasi sempre l’unica che ci si sente dare è che bisogna rispettare la privacy. Lo sappiamo e siamo autoregolamentati. Quando si entra in un ospedale con una telecamera ci raccomandano di non riprendere i volti dei pazienti - anche questo i giornalisti sanno che non si può fare. Purtroppo, è ancora questa fiducia basilare che manca tra giornalisti e operatori della sanità, siano medici o dirigenti, cambia poco.

La stampa ha una funzione anche positiva. E’ un veicolo essenziale per dare informazioni sui servizi di un’azienda, ma è anche un veicolo di informazione sulle patologie.

Ci sono trasmissioni televisive, inserti di grandi quotidiani, riviste specializzate di informazione sulla salute, che aiutano la medicina ad essere più alla portata della gente. Ci sono chat line e siti web specifici, fili diretti con specialisti di ogni branca.
Insomma, anche questo è un settore in movimento.

Tornando per un attimo al mio impegno nell’ufficio stampa dell’azienda ospedaliera regionale. Durante quell’esperienza fondammo una rivista, in collaborazoone con la Società Lucana di Medicina e Chirurgia. Era una rivista a metà tra la pubblicazione scientifica e d’informazione. E ho visto che, nonostante il mio target fosse sanitario, dovevo – in quella rivista parlare di tutto e a tutti: ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, ai funzionari della struttura, ai sociologi, agli psicologi, ai biologi, insomma a tutti quelli che ruotavano intorno all’ambiente sanitario e non solo.

Dovevo parlare anche ai politici, agli amminisratori e – cosa più importante - ai pazienti che, trovando il giornale come una qualunque rivista nello studio del proprio medico di famiglia, dovevano poter leggere anche solo poche righe che lo potessero interessare: dalla descrizione di una patologia, all’indicazione di come e dove poterla curare in regione, alla possibilità di trovare notizie anche utili su come prenotare una visita, sulle attività di volontariato in Basilicata, di difesa del malato.

E’ stata un’esperienza positiva, perché ha avuto l’aiuto, la consulenza, la partecipazione attiva dei medici, che hanno portato le proprie competenze specialistiche che, unite alle competenze giornalistiche, hanno dato vita ad un prodotto, certo anche criticato, perché no, però, una voce sanitaria nella regione. E questo lavoro anche se non con la stessa rivista, ma evidentemente con altri strumenti piu’ avanzati tecnologicamente rispetto a 10 anni fa, viene ancora oggi portato avanti dai colleghi dell’ufficio stampa attuale.

Esistono leggi che aiutano il finanziamento della comunicazione utile. Ma penso anche ai tanti siti web. Non solo delle aziende. Ormai tutti i medici hanno almeno un indirizzo di posta elettronica, le aziende sanitarie ed ospedaliere hanno siti che vendono un prodotto, ma che sono anche informazione e informazione che arriva in tutto il mondo.

E poi ci sono le campagne organizzate. Che naturalmente non devono essere solo propaganda. E’ sbagliato, anche in questo settore, perdere di vista il fine dell’informazione. Le Istituzioni: le Asl, le Regioni, gli enti locali, le associazioni mediche e di volontariato possono e devono attivarsi per promuovere campagne organizzate con competenza medica, scientifica e comunicativa. Perché la comunicazione e l’informazione possono contribuire a creare una "coscienza sanitaria". Studiando, ad esempio, l'incidenza di una malattia su un determinato territorio, partendo, cioè, dall'epidemiologia, per, poi, comunicare come riconoscere, come prevenire, come combattere quella malattia.

Ma è necessaria la collaborazione: tra istituzioni, uomini della comunicazione, giornalisti, volontari, medici e potenziali pazienti. Una collaborazione che abbia come unico obiettivo: informare senza protagonismi, per arrivare al cittadino, per aiutarlo a vivere e a vivere meglio.

Quello tra mondo sanitario e giornalisti – dell’ufficio stampa interno all’azienda e dei mass media esterni - è un rapporto dunque molto importante. E’ naturalmente – come tutti i rapporti - un rapporto di fiducia. Forse bisogna cominciare a superare la visione del giornalista superficiale e frettoloso, bisogna pensare che se un giornalista si occupa di sanità con metodo e con frequenza acquisisce una minima consapevolezza di ciò di cui parla e spiega agli altri. Ma deve continuare a farlo con il suo linguaggio non con quello della medicina.

Molti medici questo lo hanno capito e loro stessi pubblicano e intervengono in trasmissioni divulgative. Perché - nella nostra epoca - un messaggio che inviti alla prevenzione o che spieghi i sintomi di una malattia passa molto prima attraverso un manifesto, un sito internet e soprattutto attraverso la televisione, che attraverso altri canali quali possono essere anche il rapporto diretto – che pur dev’esserci - con il medico. Penso allo screening sui tumori femminili voluto dalla Regione.
Me ne sono occupata sempre per la Rai e tante signore, che ai primi inviti non hanno riposto, poi si sono sottoposte ai test. Perché i tumori sono stati individuati e i risultati sono stati diffusi più volte, per invitare alla prevenzione. Ma è stato un lavoro fatto insieme, in stretta collaborazione con i medici responsabili. Anche noi, in minima parte, abbiamo portato nelle case, queste notizie e contribuito a far capire cosa sia bene fare. E tante donne hanno telefonato direttamente in Redazione, per avere chiarimenti sulle modalità di accesso, sugli spostamenti delle postazioni mobili. Sulle strutture impegnate.

Gli esempi potrebbero essere ancora tanti. Penso agli screening per la prevenzione dei tumori della pelle, alle visite gratuite per farsi controllare anche solo un neo, o alle visite per individuare precocemente il glaucoma, o la giornata del respiro per la pneumologia. O alle tante iniziative di solidarieta’ della varie associazioni di volontariato, che, con il pretesto della vendita di una piantina, per raccogliere fondi per la ricerca, ci danno tante occasioni – spesso non sfruttate al meglio da noi giornalisti – per parlare di una malattia cronica, di una patologia gravissima o anche solo del rischio d’incidenza di una patologia sul territorio regionale. Iniziative indirette di prevenzione, a cui i mass media cercano di stare dietro. A volte anche organizzando in proprio raccolte di danaro per la ricerca, con trasmissioni in cui si parla, anche con testimonianze dirette, di malattie, conseguenze e prevenzione.

E allora? Cosa fare per non ingannare chi ascolta o legge? per dare una versione dei fatti veritiera e completa?
L’importante è veicolare sempre messaggi chiari, diretti, non minacciosi, che abbiano un margine di positività, che prospettino una soluzione. Messaggi capaci di arrivare a tutti. Purtroppo questo non sempre avviene nei media, perche’ ci sono anche i messaggi indiretti, subliminali, che convincono senza parlare.

Nonostante le tante campagne contro il fumo – ad esempio - secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio sul Fumo dell’Istituto Superiore di Sanità, in televisione ci sono troppe sigarette accese. Dalle statistiche emerge che in tv vediamo una sigaretta ogni 26 minuti. La novità sta, però, nel fatto che la sigaretta non è più abbinata ad atteggiamenti seduttivi, come in passato, ma è spesso in mano a personaggi negativi o perdenti. Ma non sempre. E’ stato infatti accertato che si fuma anche nei cartoni animati: almeno una volta ogni mezz’ora!

Negli ultini anni, c’è stato un boom di diffusione delle notizie salutiste sulle abitudini alimentari, il benessere fisico, la cura non solo estetica del corpo. Anche se forse si dovrebbe pensare anche a qualche messaggio forte di prevenzione, che riguardi i bambini e gli adolescenti. Magari in una collaborazione più stretta tra scuola, medici e mass media.
E’ un problema dunque non solo di buon giornalismo, ma anche di buona comunicazione in genere.

Credo che la strada per una comunicazione utile in sanità sia ancora lunga, ma non siamo all’anno zero. Molti progressi sono stato fatti negli ultimi dieci anni, soprattutto sulla scorta dell’aziendalizzazione, che ha costretto a pubblicizzare i servizi, ad attrarre utenza, a combattere l’emigrazione sanitaria. In Basilicata tutte le aziende sanitare hanno un ufficio stampa. C’è stato un periodo in cui circolvano diverse riviste, un progetto poi accantonato, perché superato dalla velocità e dall’attualità dei siti web; anche il portale regionale basilicatanet dedica ampio spazio alla sanità, ospitando anche il cup, rendendo dunque anche un servizio ai cittadini.

Rimane però da fare uno sforzo. Quello di evitare il pericolo di fare dell’attività informativa solo un veicolo di pubblicità e di concorrenza con gli altri servizi. Questo è utile, ma solo in termini finanziari e di bilancio per l’azienda. Non è utile per il lettore – potenziale paziente, che deve essere informato correttamente e veritieramente, anche su un servizio che non c’è. E deve sapere cosa si puo’ aspettare dalla sanità della propria regione, dalle attività di un ospedale o di un reparto, ma anche dagli standard di qualità di quel reparto, di quei medici, di quelle prestazioni. Nell’era della comunicazione il pericolo è ridurre tutto ad un grande spot pubblicitario, che non sempre è utile per tutti.




Se le notzie esterne vengono date con il supporto, l’aiuto e il linguaggio degli specialisti della comunicazione e dell’informazione saranno ancora piu’ utili ed efficaci, perché arriveranno con chiarezza e semplicità a chi ha bisogno di quella notizia. E sarà l’effetto di una collaborazione frutto di un rapporto in crescita tra operatori sanitari e dell’informazione, che hanno come fine ultimo la corretta conoscenza e la consapevolezza del lettore – ascoltarore – potenziale paziente.
Siamo capaci di farlo? Io dico di si. Basta fidarsi gli uni degli altri.

  
  
  


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