Shakespeare maestro del sogno
di Grazia Napoli
“We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep” (The Tempest, Act IV, scene 1)
“Siamo fatti della stessa materia dei sogni, e la nostra breve vita è avvolta nel sonno” (La Tempesta, Atto IV, scena 1)
Il sogno in letteratura mi fa pensare immediatamente a questa frase, che Prospero, protagonista de “La Tempesta” di Shakespeare, pronuncia nella prima scena del quarto atto della commedia della maturità. L’ultima, scritta nel 1611. L’opera del commiato del Bardo dal suo pubblico, riassuntiva della sua poetica e della sua visione della vita. Prospero, demiurgo di tutta la vicenda, è lo stesso Shakespeare, autore, attore e regista di ciò che avviene sul palco, come sull’Isola de “La tempesta”.
Più del “Sogno di una notte di mezza estate”, da cui ci si sveglia tutto sommato in letizia, “La Tempesta” è la metafora della vita, che l’uomo attraversa come in un sogno, dormendo, fuori dalla realtà, per accettarne, alla fine, il senso: placato, sereno, rassegnato. Prospero compie un cammino di conoscenza, misurandosi con la Magia Rinascimentale, che non è più Stregoneria Medievale. La usa e, con la sua bacchetta, muove personaggi ed elementi, ciascuno simbolo del bene, del male, della giovinezza, della vecchiaia, dell’intrigo, dell’inganno, dell’amore. Uomini e spiriti, buoni o cattivi che siano, armonizzano un territorio inconscio, in cui c’è tutto e il contrario di tutto. E’ una favola, e come tutte le favole, rimanda alla realtà, alla storia e al cammino dell’uomo, dentro e fuori di sé.
Prospero - Duca di Milano abbandonato con la figlia su una scialuppa in mezzo al mare dal fratello usurpatore Antonio – riesce ad approdare su un’isola del Mediterraneo di cui si impossessa, ammaestrando fatti e Natura attraverso la Magia e il Sogno. Al passaggio del fratello e Re di Napoli con il loro equipaggio scatena la tempesta, che fa colare a picco le navi e costringe i marinai a scendere a terra. Una metafora della Storia, della società, della gestione del potere, dell’inganno e della vendetta: in una parola della vita, ma in versione onirica.
Ugo Pagliai-Prospero al Globe Teathre di Roma
L’ultima messa in scena de “La Tempesta”, che mi è capitato di vedere, risale al 2018 al “Silvano Toti Globe Theatre” di Roma. Per la regia di Daniele de Salvo, con un magistrale Prospero interpretato da Ugo Pagliai. “La Tempesta” in un teatro dall’architettura Elisabettiana accentua e moltiplica la magia e il sogno. Porta indietro nel tempo. Porta davvero su quell’Isola, in cui tutto sembra avvenire come in una nuvola. Musica, costumi, luci contribuiscono ad una drammaturgia che “crea” il sogno e vi trascina, a pieno titolo, lo spettatore. Alla fine dello spettacolo, le luci in sala e sul palco determinano come un brusco risveglio. Che riporta sulla terra e alla realtà.
La tempesta ha “invaso e deliziato” i miei anni universitari. Dalle rappresentazioni elisabettiane a quelle classiche, dalla filmografia alle innovazioni del Teatro di Ricerca del ‘900. “La Tempesta” evoca subito alla mia mente il nome di Peter Brook, il regista inglese più shakespeariano di Shakespeare, che la portò in scena alla fine degli anni ’50 e poi nei primi anni ’90 del ‘900, anche in Italia, a Milano. Avevamo un filmato all’Università, visto e rivisto, per studiare la modernità di Shakespeare e la possibilità di rappresentarlo, sempre, in ogni epoca, attraverso la parola, il gesto e il corpo. Ne “La Tempesta” di Peter Brook l’Isola è un rettangolino di sabbia dorata. La scenografia è ridotta al minimo. Il racconto è affidato a Miranda, figlia di Prospero. Quest’ultimo non ha la bacchetta, ma un vecchio bastone da contadino e sembra un cantastorie. Elfi e spiritelli si arrampicano su delle sottili impalcature. Il pubblico è vicinissimo e quasi si confonde con gli attori. E’ il “teatro vuoto” di Peter Brook, che in qualche modo ritorna a quello Elisabettiano, in cui il pubblico è intorno al palco e tutto si fonda principalmente sulla parola. Anche questo un espediente che riporta al “sogno”, all’immaginazione che insegue corpi e parole e che è solo una delle affascinanti sfumature delle innovazioni di Peter Brook “maestro” del Teatro Contemporaneo.
Il sogno de “La tempesta” intercetta gli slanci, le inquietudini e le immagini della vita moderna nella versione della compagnia riminese “Motus”. Nel 2015, al Teatro “Stabile” di Potenza, per il “Città delle Cento Scale Festival”. Un teatro di parola, ma anche di impatto visivo, tra danza e arti performative. In scena, protagoniste con gli attori, sono delle coperte, portate dagli spettatori, per simulare prima la Tempesta, poi il primo riparo. Come le coperte fornite ai naufraghi dai soccorritori negli sbarchi sull’Isola di Lampedusa. Coperte per chi cerca una via d’uscita dalla tempesta personale e sociale. Coperte che - a fine spettacolo - vengono davvero donate ai Centri di Accoglienza. Una versione attuale del sogno di Prospero: simboli e magia per camminare verso una società più vera, accogliente ed inclusiva. Dopo la Tempesta storica, sociale, emotiva.
*questo articolo è stato pubblicato sul n.89 della rivista culturale online www.goccedautore.it
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