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Il Teatro di Shakespeare, cupo e leggero
di Grazia Napoli
Alti e bassi. Gioie e dolori. Cupezza e leggerezza.
King Lear and Fool
Così è la vita. Così è il Teatro Elisabettiano di Shakespeare. Sempre legato alla vita, non la edulcora, non la rende finta, non la imita. La porta sul palco. Così com’è. Ecco perché anche nelle Tragedie del Bardo, a tratti, la tensione cala, per lasciare spazio ad intervalli comici, alla musica, allo scherzo anche triviale, a sprazzi di allegria.
Per questo una tragedia Shakespeariana è sempre rappresentabile. Anche in una sera estiva, che vuole – per definizione – levità e leggerezza.
L’ultima che mi è capitata di vedere è “Romeo e Giulietta”, per la regia di Gigi Proietti al Globe Teathre di Roma. La tragedia dell’amore per eccellenza viene “alleggerita” in alcuni punti da espedienti scenici e linguistici, che integrano e superano l’originale, che pure ha momenti di rilassamento, nelle scene di vita mondana delle famiglie nobili e rivali, nella figura della nutrice di Giulietta, nella passione dei giovani innamorati, prima che tutto precipiti.
Nell versione di Gigi Proietti, l’inizio con i ragazzi delle famiglie rivali che giocano a calcio in felpa e snakers nelle vie di Verona, anziché duellare; Giulietta in chiodo di pelle che danza al ritmo della musica rock, che ascolta in cuffia nella sua stanza come una qualsiasi adolescente di oggi; la Festa a casa Capuleti sulle note della disco dance di Donna Summer alleggeriscono, avvicinano il pubblico giovane e narrano la tragedia come se tutto fosse un antico sogno.
Velocità, allegria, caratterizzazione dei personaggi, donano leggerezza, senza nulla togliere alla narrazione, alla recitazione, alla bellezza del verso.
Le parti “alleggerite”, anche dalle improvvisazioni degli attori, spesso non riportate fedelmente nei copioni giunti fino a noi, esistono in tutte le opere. Basti pensare ai Becchini della scena iniziale di ”Amleto”, alle scene di “Otello” in cui lo stesso Jago recita la parte del buffone, alla comicità che sottende alla trama di “ReLear”, in cui giganteggia il personaggio di Fool, che aiuta la caduta della tensione, quella tragica mai quella narrativa.
Il Fool è una sorta di clown o giullare di corte, che ha abilità teatrali e parla il linguaggio del popolo, ironico e saggio al tempo stesso. Guarda la storia e ne indirizza il destino. Secondo alcuni critici, è la “voce” dello stesso Shakespeare.
Il Fool – che in “ReLear” si chiama proprio cosi, in “Enrico IV” è Falstaff, ne “La Tempesta” Calibano e in “Amleto” lo stesso Amleto – è un personaggio solo, a sé, guida e critico di ciò che avviene.
Nel 2012 – sempre al Globe Teathre di Roma - andò in scena “Fool.I comici di Shakespeare” per la regia di Consuelo Barilari: tutti i fools insieme, ciascuno interprete, a proprio modo, dell’opera di cui è parte, all’interno della messa in scena de “Il Sogno di una notte di mezza estate”, quando la compagnia dei comici si esibisce per i futuri sposi. Una riscrittura geniale di “teatro nel teatro”, che fa rivivere pezzi di Commedie e Tragedie dal solo punto di vista dei Fools. Una produzione che - quell’anno - fu anche in Basilicata nel sito archeologico di Vaglio (Pz).
E poi la Musica. Anzi le Canzoni.
Shakespeare le usa anche nelle Tragedie. Si tratta quasi sempre di canzoni della tradizione popolare di cui scrive anche i testi. Le cantano i personaggi minori o le compagnie teatrali spesso rappresentate sul palco; i bambini. I personaggi principali cantano raramente. Solo se travestiti o in uno stato di confusione mentale. Canta Ophelia in “Amleto”, Canta Desdemona in “Otello”. Cantano le Fate nel “Sogno”, le Streghe in “Macbeth”.
La musica e la canzone introducono in un’atmosfera, smorzano la forza della parola recitata, danno tregua all’anima dello spettatore.
Insomma, la leggerezza esiste. Non solo nel Teatro Comico o nel Varietà. Andiamo a Teatro. Anche in estate!
- Questo articolo con un titolo leggermente diverso è stato pubblicato sul n. 99 dela rivista culturale online www.goccedautore.it
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