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Post-moderno, il teatro della Meraviglia
di Grazia Napoli

È meraviglia, stupore, gioia, partecipazione e tentativo affannoso di ricostruire ciò che è stato decostruito.

È il teatro post moderno, nato a metà del ‘900, per dimostrare che non esiste una verità unica e definitiva, un unico racconto lineare, una narrazione causa-effetto. Esistono le verità individuali, che sia l’attore, sia lo spettatore costruiscono e comprendono, ponendosi domande, cercando risposte, che spesso non esistono.


Hamletmachine di Fortebraccio Teatro


Suscita meraviglia uno spettacolo post moderno spesso costruito con “pezzi” di opere importanti, di cui rimane solo una traccia, il nome di un personaggio, qualche scena adattata nel linguaggio, nei costumi, nelle finalità.

Fu meraviglia pura per me – shakespeariana convinta – assistere, al Teatro Stabile di Potenza, qualche anno fa nell’Ambito del “Città delle 100 scale Festival”, a ciò che era diventato “Amleto” in “Amleto + Die Fortinbrasmaschine”, di Roberto Latini e Fortebraccio Teatro, a sua volta riadattato da “Die Hamletmachine” di Henier Muller, dramma post moderno del 1977.

Vagamente basato sull’Amleto originale, non ha una trama convenzionale, ma diversi monologhi in cui l’attore riflette – tra l’altro - sull’essere attore. Si torna a Shakespeare per superarlo e guardarlo con gli occhi del nostro tempo. I personaggi sono andati avanti, da figli sono diventati padri, da uomini sono diventati maschere, che agiscono su una sorta di giostrina luminosa, al centro della scena entro i cui confini si svolge la vita frammentata e insensata, tragedia e commedia insieme.

Una messa in scena che racconta come il mito, Shakespeare, il Teatro nella sua essenza abbiano già detto tutto. E come tutto possa innestarsi in qualsiasi tempo.

Quando studiavo all’Orientale di Napoli, ci dicevano che per capire il post moderno bastava guardare Napoli, città in cui vecchio e nuovo convivono e si trasformano, ma rimangono uguali a sé stessi. È così che ho intuito cosa fosse il teatro post moderno. Era quello che vedevo nei vicoli: una scena che veniva dal passato e si componeva in tanti frammenti moderni, per raccontare la magia antica e la realtà nuova di una città-palcoscenico. E tutto questo suscita meraviglia. Perché è un “teatro” che ti coinvolge e ti costringe a guardati dentro e intorno. Come faceva Amleto.

Da allora ho visto molto teatro post moderno. E ho sempre sperimentato la meraviglia del sentirsi coinvolti, trascinati, frammentati. Parole antiche in scene e rappresentazioni moderne, anzi oltre il moderno, post moderne. Specie negli happening all’aperto, nelle scene mobili, nell’uso dell’elettronica, dei laser, dei microfoni per declamare le parole di Amleto e di Ofelia in un contesto spesso surreale che non ha più radici. Le parole di tutti noi. Ancestrali, significanti anche se non più in fila in un racconto concluso. Parole, gesti e palcoscenici frutto di un lento lavorio di decostruzione. Della realtà e dell’arte.

- questo articolo è stato pubblicato sul n. 92 della rivista culturale online www.goccedautore.it diretta da Eva Bonitatibus

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