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Albania casa mia, una storia vera di immigrazione
di Grazia Napoli
Teatro civico e poetico al tempo stesso. È il bellissimo intenso monologo, che racconta una storia vera, che è la storia dell' attore in scena. Lui è Aleksandros Memetaj, 24 anni, albanese, che vive da sempre in Veneto. Lo spettacolo è in giro in Italia - e poi andrà all'estero, in America - con il teatro dell'argot di Roma. Un tour che ha toccato anche il Teatro “Stabile” di Potenza e la Casa Cava di Matera.
"Albania casa mia", il testo è dello stesso Memetaj, per un'ora intensissima lascia tutti con il fiato sospeso. Con grande forza narrativa, racconta del suo arrivo in Italia, da clandestino di soli sei mesi, in un viaggio rocambolesco con i genitori, partiti da Valona alla volta di Brindisi, su un peschereccio e arrivati in Italia - da cui già precedentemente il padre era stato espulso - dopo un viaggio pericoloso, iniziato sotto il tiro dei cecchini albanesi e finito sotto quello della polizia italiana.
La vicenda risale al 5 febbraio 1991, dopo la caduta del regime comunista, quando il malcontento del popolo si espresse con manifestazioni, distruzione dei simboli dittatoriali ed esodi di massa. Migliaia di persone cercarono di scappare verso l' Occidente dai porti di Valona e Durazzo. Tra loro c' era Alexander Toto, sua moglie Betty, suo figlio Aleksandros, 6 mesi.
“Albania casa mia” è la storia di un figlio che crescerà lontano dalla sua terra, in Veneto, a cui non sentirà mai davvero di appartenere. E’ la storia di un padre e dei sacrifici fatti per evitare di far crescere suo figlio nella miseria di uno Stato che non esiste più. E' anche una storia di patriottismo, di valori, di un amore sviscerato per una terra in cui non si è mai vissuti, ma in cui si è nati.
E’ un inno d' amore alla propria terra questo lavoro, ma è anche - e soprattutto - un simbolo, una storia di emigrazione, come ce ne sono tante, ce ne sono state e sempre ce ne saranno. E’ una storia di integrazione difficile, ma riuscita.
Lo spettacolo narra - nella prima parte - l' infanzia di Aleksandros in Veneto, costellata di piccoli episodi di razzismo, come può succedere tra bambini, ma anche di una progressiva integrazione. La seconda parte, narra la vicenda del padre, che ostinatamente torna in Italia con il figlioletto febbricitante tra le braccia. Uno sbarco da clandestini verso una nuova vita. Un teatro che racconta una storia vicinissima noi nel tempo e nello spazio. Una storia viva .
Prima dello spettacolo un elemento importante di comunicazione teatrale. Aleksandros non vuole sipari. Attende, paziente, sulla scena, che tutti gli spettatori prendano posto. Instaura, così, un' immediata familiarità e interazione con il pubblico, anche se parla italiano, veneto, albanese. Il racconto scorre. Parla di immigrazione, di integrazione, di una storia universale, che si ripete. uno spettacolo di grande forza emotiva, di grande energia. un monologo appassionato e di grande efficacia.
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