Raccontare la Modernità
di Grazia Napoli
La Fabbrica ha segnato da fine ‘800 a tutto il ‘900 una vera rivoluzione. Ha imposto un nuovo modello produttivo, mutamenti sociali, una svolta storica, che ha consentito di superare la Civiltà precedente, prevalentemente contadina. Oggi di quel mondo rimane poco. La Fabbrica è cambiata. Ha superato sé stessa, da moderna è diventata post-moderna. Tecnologica, informatizzata, innovativa, e oltre. Ne è un esempio lo Stabilimento Stellantis nell’area industriale di Melfi, in Basilicata, dove si produce con il metodo “just in time”, per “vendere subito”; non c’è magazzino.
Cambiamenti che raccontano l’evoluzione dell’Uomo, sempre caratterizzata da contrapposizioni, divisioni, da una frattura, che deve tendere ad una necessaria ricomposizione e, dunque, ad una sintesi, che generi il “nuovo”.
Come è stata recepita, interpretata, narrata e comunicata questa evoluzione? Che ruolo hanno avuto intellettuali, scrittori e gli stessi imprenditori, che hanno voluto coniugare il proprio lavoro con l’Umanesimo? Sono riusciti a dare un’immagine vera, non viziata da pregiudizi e influenze ideologiche? Sono riusciti a raccontare questo passaggio di epoca?
Lo scrittore e saggista Giuseppe Lupo nel suo libro “La modernità malintesa. Una controstoria dell’industria italiana”, Marsilio Editore, ripercorre questa storia dandone una interpretazione originale, puntuale e che invoglia a proseguire nella ricerca.
Ha accettato di rispondere ad alcune domande.
D: Nel suo saggio sull' Industria e la Letteratura tra ‘900 e primi decenni del nuovo millennio Lei parla di “modernità malintesa”, espressione che da il titolo al volume. Cosa vuol dire?
R: La reazione di chi ha raccontato la modernità, intellettuali, scrittori, filosofi, chi cioè ha restituito una narrazione di quei fenomeni, non sempre ha fornito un quadro che desse ragione della complessità, ma che non fosse sporcato da pregiudizi ideologici, causa di malinteso.
D: Nell’evoluzione storica e culturale tra ‘900 e nuovo millennio possiamo vedere continuità o esiste una “frattura”?
R: L’impressione che ricavo leggendo i libri pubblicati in questi vent’anni è di sostanziale continuità. Si persiste nell’atteggiamento corrosivo nei confronti dei luoghi di lavoro, come se il Novecento non fosse mai finito e gli apparati interpretativi avessero continuato ad agire.
D: Tra gli intellettuali che si occuparono di Industria Modernità chi ruppe maggiormente col passato? Chi guardò oltre con più intuito o consapevolezza?
R: Purtroppo sono pochissimi i nomi – Leonardo Sinisgalli, Primo Levi, Italo Calvino, Elio Vittorini – perché invece la stragrande maggioranza degli intellettuali ha assunto quasi sempre posizione antimoderne.
D: Modernità e post-modernità’. In quale momento storico e letterario si consuma la frattura, se frattura c’è?
R: È difficile dare una definizione completa e totale alle nozioni di modernità e di postmodernità. Modernità è l’invenzione della ruota, come la scoperta dell’America, passaggi di epoche storiche differenti. C’è però un dato abbastanza consolidato: con la fine del Novecento si è modificato il concetto di fabbrica e, unitamente ai processi di dismissione e di globalizzazione, è cominciata un’altra epoca, quella appunto dopo la modernità.
D: Oggi che si va verso la prepotente affermazione dell’intelligenza artificiale quanto rimane della creatività e produttività legata alle macchine, all’uomo e alla scrittura tradizionale?
R: Indubbiamente gli scenari continuano a modificarsi troppo velocemente e questo favorisce una specie di invecchiamento precoce di strumenti, metodi, sistemi che solo poco tempo fa erano ritenuti all’avanguardia. Ma questo è il prezzo da pagare sull’altare della tecnologia che può aiutare l’uomo o può condannarlo. Dipende dall’uso che se ne fa e dal modo in cui ci si accosta. Il discorso funziona anche per l’intelligenza artificiale.
D: Può' ancora reggere la concezione di produttività legata allo sviluppo culturale o tutto è omologato, contrapposto e ‘oltre’ rispetto al recente passato?
R: In linea teorica potrebbe ancora essere una strada percorribile il dialogo tra produttività e sviluppo culturale. Anche in questo caso dipende da come lo si imposta. Un’azienda che intende muoversi in maniera sincronica nei confronti del proprio tempo non può impostare il proprio discorso secondo le forme tradizionali.
D: Almeno la Cultura, e la Letteratura in particolare, possono superare le contrapposizioni che si manifestano ad ogni livello e sanare fratture che paiono irrimediabili?
R: Mai come in questo momento c’è bisogno di cultura e di umanesimo. Lo hanno compreso gli imprenditori: non basta produrre e realizzare profitti, occorre un dialogo con il mondo delle idee, con i linguaggi dell’arte, perfino con le proposte che arrivano dai visionari.
D: Giuseppe Lupo ha una sua “ricetta culturale” per superare fratture, frammentazione e contrapposizioni?
R: Non posso avere una ricetta, non avrei nemmeno la competenza in materia. Penso solo che sia necessario una cooperazione tra mondi apparentemente lontani, a patto però che ci sia la volontà di rispettarsi e di cooperare.
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