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La Fiat a Melfi: Cronaca di un insediamento
di Grazia Napoli


La  notizia  arriva nelle redazioni lucane all'improvviso, inaspettata, una sera di Novembre del 1990. La Fiat,  la più grossa azienda italiana produttrice d'auto, ha scelto Melfi,  in Basilicata, per costruire un nuovo stabilimento. L'ha anticipato un  Tg  nazionale, lo conferma un dispaccio d'agenzia. Diventa frenetico il lavoro dei giornalisti lucani, in tutte le  redazio­ni, per ''scoprire'' i risvolti della vicenda, per sapere  ''come e perché in Basilicata'', chi ne sia l'artefice, chi ne  fosse, già da tempo, al corrente, negli ambienti politici ed istituzio­nali.





Dalla Fiat niente commenti, solo comunicati ufficiali: dati sulla futura occupazione, sui tempi di realizzazione dello stabi­limento, previsioni sulla costruzione e la commercializzazione di una nuova auto, da immettere sul mercato entro il 1994. Una ridda di numeri, un piano perfetto, già preordinato e stabilito, per un investimento di 2.710 miliardi, che darà lavoro, a pieno re­gime, a 7000 persone.

È così che, in Basilicata, in un  autunno che sembra ormai lontanissimo,  si è appreso che la prima ''fabbrica integrata'' per la costruzione di automobili sarebbe stata costruita  proprio qui, in una terra non ricca, affamata di lavoro, spesso tradita nelle aspettative, da una industrializzazione mai veramente realizzata;  ulteriormente delusa dai tanti tentativi di  darle un'industria seria, dopo il terremoto dell''80. È con  entusiasmo ed euforia che la notizia viene accolta tra i disoccupati (troppi anche allora) di questa regione.

Sono passati quasi cinque anni, la fabbrica c'è, funziona, produce. Le prime ''Punto'' targate Melfi sono già state immesse sul mercato; 3.494 lucani sono stati occupati nello  stabilimento di San Nicola di Melfi e, in base alle previsioni, entro la fine del 1995, altri 3.500 giovani dovrebbero fare il loro ingresso in Fiat. Le donne rappresentano il 15,63 per cento della forza lavo­ro; l'età media è di 26,3 anni. Giovanissimi anche gli ingegne­ri: 52, età media 28,5 anni, diretti da Daniele Bandiera, 36 an­ni, di Ferrara.

Lo stabilimento è enorme, ma armonico, luminoso e non troppo rumoroso. Quattro i reparti: stampaggio, lastratura, vernicia­tura e montaggio, affiancati dai fabbricati di servizio (spoglia­toi, mense e uffici) e dall'area servizi impianti, con le cen­traline  generali per la distribuzione di energia e acqua. Ci si sposta  all'interno di tunnel; i vari capannoni sono collegati tra loro da catene di trasporto-materiali automatiche. Anche  le 18 aziende dell'indotto, ospitate in un recinto a ridosso dello stabilimento principale, dovranno essere collegate in questo modo per garantire, ogni giorno, il transito di 15.000 carrelli elet­trici per il trasporto del materiale.

Lo studio per la localizzazione dello stabilimento Fiat risale al Luglio 1990, prima, dunque, che la Fiat avviasse le trat­tative  con il Ministero per il Mezzogiorno per l'apertura di un nuovo stabilimento nel Sud. L'indagine fu affidata ad un  gruppo di lavoro esterno alla Fiat, al quale la casa torinese aveva dato indicazioni  precise sull'estensione dei capannoni, i parametri tecnici, il numero degli addetti, i vincoli territoriali ed  in­frastrutturali da tener presenti, le compatibilità e le incompa­tibilità. La localizzazione doveva anche privilegiare una certa equidistanza tra i vari stabilimenti Fiat del Sud. La scelta del Meridione  nasceva, invece, da una valutazione ''culturale e da una valutazione di logiche aziendali, che premiavano fattori lo­gistici di integrazione fra stabilimenti dello stesso  gruppo'' [Rapporto Svimez]. Al sud, infine, c'era anche la disponibilità di terreni  grazie alla collaborazione dei Consorzi  Asi.  Fonti Svimez  ritengono che la localizzazione a Melfi sia  dovuta  alla valutazione del gruppo di lavoro, che, qui, avrebbe trovato:
    
  • un'area vasta, integra e piana;

  •     
  • il livello massimo di incentivazione ammessa dalla legge 64;

  •     
  • una valida connessione logistica rispetto agli altri stabilimenti Fiat nel Mezzogiorno e costi contenuti di collegamento;

  •     
  • una scarsa conflittualità connessa alla struttura prevalentemente agricola dell' economia locale.


  • L’area interessata copre un terreno di due milioni  e 700 mila metri quadri: oltre ad un'ampia pista di prova e 16  chilo­metri di scambi ferroviari.  La fase di realizzazione dello stabilimento ha battuto davvero tutti i record: il via all'insedia­mento è stato dato nel gennaio 1991; il cantiere è stato aperto ed esteso a tutta l'area tra giugno e settembre. Lo stabilimento è  stato materialmente costruito  da settembre 1991  a  dicembre 1993.




    La ''cittadella dell'auto'', come qualcuno ha voluto denominarla,  ha i ''numeri'' per essere considerata la più  moderna struttura industriale italiana e una delle fabbriche tecnologica­mente più avanzate nel mondo. Al punto che un recentissimo stu­dio del Formez propone di imitare il modello della fabbrica luca­na, per avviare nuove iniziative industriali in tutt' Italia.  La previsione di produttività, entro il 1995, è di 1.600 auto  al giorno; 450.000 all'anno. La produttività per addetto, a  regi­me, sarà, sempre in base alle previsioni, di 79 veicoli,  contro i 48 della media europea. Per produrre una ''Punto'' sono  necessari 273 ''passaggi'' e 21,8 ore di lavoro. Nella fabbrica  ''la­vorano'',  con gli operai, 230 robot, che applicano  oltre  3.000 punti  di saldatura a ogni auto, e quattro grandi presse (due  di fabbricazione  giapponese) in grado di realizzare sette pezzi di carrozzeria con un solo colpo di maglio, verniciatura e montaggio sportelli

    Nella ''fabbrica integrata'', dove il lavoro manuale è  ridotto al minimo, convivono flessibilità dei procedimenti e inno­vativa organizzazione del lavoro. Operai altamente  specializzati in ''tuta amaranto'' controllano, sui monitor, il lavoro delle presse, che sono in grado di cambiare stampo, automaticamente, in meno di sei minuti (in stabilimenti ''normali'' quest'operazione richiede dalle due alle sei ore); le saldature vengono controlla­te con un laser optoelettronico; i robot completano la  vernicia­tura e l'assemblaggio: l'intervento umano è di controllo e ri­finitura.




    I  52 ingegneri della fabbrica torinese a Melfi  vestono la stessa tuta amaranto degli operai - ''per accrescere lo  spirito di gruppo'' spiegano - e non hanno palazzina degli uffici.  Lavo­rano, con gli altri, nell'UTE (Unità Tecnologica Elementare) formata da un responsabile, dagli operai, i conduttori, un tecnologo e il manutentore dell'area. Hanno curato anche la  costru­zione  degli stabilimenti ''nel rispetto delle norme  d'impatto ambientale''. I colori della costruzione che ospita la  fabbrica, infatti, tendono a mimetizzare i capannoni con l'ambiente circo­stante: tufo nella parte bassa e azzurro nella parte alta; serbatoi interrati, niente ciminiere.

    È la Formazione del personale uno degli elementi  fondamentali della redditività del programma Fiat a Melfi. La complican­za tecnica dei nuovi mezzi di lavoro, il largo uso dell'automa­zione e dell'informatica, il coinvolgimento dei conduttori nella gestione della  produzione, in termini di qualità e di costi, comportano  la necessità di una istruzione irrinunciabile delle risorse umane, attraverso corsi molto articolati, per avere figu­re professionali più complete, capaci di assumere nozioni a lar­go spettro  nel comando e nella programmazione delle macchine, nell'allineamento culturale alle tecnologie evolute e nella ca­pacità di intervento manutentivo nel campo meccanico, elettroni­co ed informatico. La selezione del personale è stata,  perciò, condotta  con test psicoattitudinali e colloqui individuali,  per evidenziare le potenzialità dei singoli e assicurare  il  più corretto e coerente avviamento professionale. La previsione degli assunti è di 7000 addetti: 700 tra impiegati e dirigenti,  6.300 operai, per un costo formativo di 107.000 milioni, in cinque an­ni. In base ad un accordo raggiunto tra Fiat e sindacati,  prima ancora che lo stabilimento fosse costruito, l'80% dei lavoratori sono lucani. Oggi, nel 1995, la Fiat ha compiuto uno sforzo quantificabile  in 302 mila giornate di formazione, per  oltre  5.300 persone, con 450 docenti impegnati in 80 corsi.

    L'11 giugno 1993, la Fiat e i sindacati hanno siglato, per Melfi,  un accordo da alcuni definito ''storico'', perché  ''innovativo e rivoluzionario'', da altri avversato, perché ritenuto ''penalizzante'' dal punto di vista economico, a parità di pre­stazioni, rispetto ai salari dei lavoratori degli altri stabilimenti Fiat d'Italia. In quei giorni, si è ricominciato a parla­re di ''gabbie salariali'', per un accordo ''già bocciato dalla Mirafiori, ma buono per Melfi''. Rilevanti, comunque, le innovazioni contrattuali: la riduzione dell'orario di lavoro da 8 a 7 ore e 15 minuti; la ripartizione del lavoro in tre turni di  sei giorni lavorativi per due settimane e di quattro giorni di riposo la  terza settimana; una nuova organizzazione del lavoro; alcune forme di incentivazione; il sistema di partecipazione sindacale alla gestione aziendale, attraverso la formazione di  commissioni paritetiche''.  Tuttavia, a Melfi un operaio guadagna circa tre milioni all'anno in meno rispetto ai colleghi di Torino, con  l'intensificazione dei ritmi di lavoro di almeno il 14 per cento e la collocazione della pausa mensa a fine turno. All'epoca dell'accordo, per contrastarlo  e per chiedere uguale trattamento dei lavoratori dello stabilimento lucano, si mobilitarono 50 sindaci, 26 giornalisti e 1.900 lavoratori dei diversi settori, esponenti della cultura e della politica, ma senza esito.

    Nella  ''cittadella dell'auto'' si continua a lavorare.  Si aspettano le nuove assunzioni, si cerca di avviare la  produzione di  tutte le aziende dell'indotto e di perfezionare gli  accordi sindacali. Si producono 1.260 auto al giorno con l'impegno  di circa 6.000 lavoratori; si attendono, dai nuovi dirigenti politici regionali, decisioni importanti  relative al programma di ria­deguamento delle azioni e degli interventi produttivi, proprio in relazione alla presenza della Fiat in Basilicata. Intanto, ci  si prepara ad un nuovo passo: la costruzione della Y11, proprio  qui in questi stabilimenti, al centro di un'area antica, dove passato e futuro sembra vogliano, prepotentemente, incontrarsi.

    Bibliografia:

    1) L'industrializzazione nel Mezzogiorno: la Fiat a Melfi, ed. il Mulino (per conto dello Svimez);
    2)  G. Bonazzi, Il tubo di cristallo, ed Il Mulino;
    3)  R. Giannola, Senza Fabbrica, ed. Baldini & Castaldi
    4) Le risorse umane e lo sviluppo industriale: il caso dell' insediamento FIAT a Melfi in ''Documentazione Regione'' a cura del Consiglio Regionale della Basilicata, 1-3/93
    5) Fiat-Melfi: Progetti e Realtà in ''Documentazione Regione'', a cura del Consiglio Regionale della Basilicata, voll. I, II, III, n. 4-6/93.
    6) G. Berta, Conflitto industriale e sistema di impresa. L'esperienza della Fiat, in ''Rivista di storia e scienza sociale'', Donzelli editori.


    - Questo articolo è stato pubblicato sul n. 6 de “L’ingegnere Lucano”, trimestrale dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Potenza nel mese di Settembre 1995.
    Il numero era una monografia sulla Fiat, in Basilicata da 5 anni.  

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