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Ragazzi di Melfi - Storia di un giovane ingegnere
di Grazia Napoli






Pietro Ielpo, di Potenza, ha 31 anni. Laureato in Ingegneria Idraulica presso l’Università degli Studi della Basilicata nel 1990, ha lavorato dal 1992 al 1994 come responsabile di UTE presso la SATA di San Nicola di Melfi. Oggi vive a Roma. E’ ispettore presso la Direzione Generale del Corpo Forestale dello Stato. Dell’esperienza alla Fiat parla volentieri.








-         Quanto tempo hai lavorato alla Fiat e in quale periodo?

       Per la Fiat ho lavorato per circa 20 mesi, dal luglio 1992 al febbraio 1994. I primi 9 mesi sono stati dedicati alla formazione, tappa obbligatoria, fondamentale per cominciare ad orientarsi nelle strutture organizzate e complesse del maggiore polo industriale italiano. Nei mesi rimanenti, invece, ho vissuto le fasi di completamento dello stabilimento di Melfi, quelle della messa a punto e taratura degli impianti, fino alla salita produttiva della nuova autovettura “Punto”.



  
-         Come mai avevi scelto di lavorarvi?

      Sia per caso che per necessità. Per caso, perché dopo aver conseguito la laurea in ingegneria e superato l’esame di abilitazione professionale, ho inviato decine di curricula alle più importanti aziende ed imprese operanti sul territorio nazionale, prassi standardizzata, questa, per ogni giovane ingegnere neolaureato, nella speranza di trovare un lavoro soddisfacente ed adeguato alle proprie aspettative professionali. Per necessità, perché il lavoro che svolgevo in precedenza, come strutturista geotecnica presso la CO.GE.MAR di Napoli non mi offriva più le dovute garanzie di stabilità. L’offerta della FIAT, in quel periodo, costituiva quanto di meglio potessi desiderare per i futuro sbocchi professionali a cui aspiravo e per la curiosità di entrare in una realtà industriale e aziendale così lontana dal contesto territoriale ed economico lucano.



  
-  Com’è organizzato il progetto formativo?

Nei mesi trascorsi a Torino, in formazione, presso l’Istituto ISVOR della FIAT (il quarto al mondo perla formazione tecnico-industriale di quadri, funzionarie dirigenti) l’atmosfera che si respirava era molto simile a quella ovattata, protettiva ed efficiente di un “college” americano: aule spaziose e dotate do ogni supporto tecnico, salottini per chiarimenti e discussioni con i docenti e i colleghi, laboratori attrezzati per le verifiche pratiche dell’apprendimento. Otto ore di lezione al giorno, suddivisi in gruppi di 8 – 10 persone, per spaziare dalla “full immersion” di lingua inglese, alla storia e alla struttura del Gruppo Fiat; dal “project management”, alla logistica industriale; dalle tecniche di gestione del personale, a quelle per al gestione degli impianti; dai principi di economia aziendale, alla conoscenza del “prodotto automobile”; dal taylorismo, alla fabbrica integrata, al “just in time”. Ogni esercitazione pratica era finalizzata a creare abitudine al lavoro di gruppo e a stimolare la discussione, il ragionamento, la competizione sana e costruttiva. Uno dei capisaldi della filosofia della fabbrica integrata è rappresentato, infatti, dal “lavoro di gruppo”. Si discute molto sulla linea di produzione, e non in un comodo ufficio, ma con gli operai, i manutentori, i tecnici, in modo che, ciascuno per le proprie capacità e competenze, possa contribuire alla risoluzione dei problemi inerenti il miglioramento produttivo e qualitativo dell’autovettura: processi indispensabili per al sopravvivenza e la competitività di un’azienda, in particolare automobilistica, sul mercato odierno.




-         A Melfi, quali mansioni svolgevi?

       Ero stato assegnato all’Unità Operativa di Verniciatura, impianto all’avanguardia in Europa, con la mansione di responsabile di UTE (Unità Tecnologica Elementare, n.d.r.). L’UTE rappresenta un processo di lavorazione completo, autonomo, tuttavia collegato con le altre fasi produttive della lavorazione dell’autoveicolo. In particolare, ero responsabile del pretrattamento lamiere e dell’applicazione della cataforesi (lo strato protettivo di vernice applicato sulle scocche). In sostanza, si tratta di una piccola azienda nell’azienda, di un piccolo stabilimento nello stabilimento, con i suoi fabbisogni, i suoi obiettivi da raggiungere e rispettare, sia economici, sia produttivi e qualitativi, con rapporti ed interscambi continui tra fornitori (le UTE a ml te del processo produttivo) ed i clienti (le UTE a valle del processo produttivo). Il responsabile di UTE può essere considerato, quindi, un piccolo imprenditore, che cura e sostiene gli interessi della propria azienda.




-         Quanti giovani ingegneri lavoravano con te?

       Circa quaranta, a cui vanno aggiunti anche una decina di laureati in economia e commercio e in giurisprudenza., suddivisi tra le varie Unità operative dello Stabilimento, con compiti di supporto per al gestione amministrativa e finanziaria. Attualmente molto ex colleghi sono stati trasferiti e lavorano in altri stabilimenti del gruppo FIAT, per diffondere ed applicare le conoscenze e le tecniche della fabbrica integrata apprese e sviluppare a Melfi. I progetti dei nuovi modelli della casa automobilistica torinese sono nati, infatti, in questa nuova ottica produttiva. Molto miei colleghi se ne sono occupati in prima persona.




-         Il rapporto con la dirigenza qual era ?

         Ottimo con quasi tutti i nostri futuri capi. Li incontravamo già durante il periodo di formazione, con una frequenza settimanale. Ci illustravano le loro motivazioni, le loro aspettative, il loro desiderio di lavorare insieme per costruire un nuovo modo di produrre automobili, molto simile al modello vincente giapponese, ma conservando quanto di buono era radicato nella cultura e nelle esperienze aziendali precedenti. I rapporti, parlato, erano facilitati dall’età media della nuova classe dirigente FIAT: intorno ai 35 – 40 anni.




-         Come descriveresti questa esperienza?

       Ogni esperienza lavorativa maturata è da considerarsi positiva. Si arricchisce inevitabilmente il proprio bagaglio culturale, sia tecnico che umano. Noi “Ragazzi di Melfi”, così siamo stato definiti, non senza un pizzico di orgoglio, dai vertici FIAT e dalla stampa, abbiano irsuto un’esperienza straordinaria, unica nel suo genere: siamo stati i primi in Italia ei n Europa ad applicare la teoria della fabbrica integrata, del “just in time”; abbiamo lavorato, durante la fase di realizzazione dello stabilimento e di impianti estremamente sofisticati, fianco a fianco con tecnici di altre imprese italiane e straniere; abbiamo imparato sul campo come sia complesso gestire uomini e mezzi; abbiamo contribuito, con spirito di sacrificio, motivazione e passione, a scrivere,s e mi è concesso sottolinearlo, una nuova pagina della storia industriale nazionale.




-         Un’esperienza del genere può farti cambiare?

       Se per “cambiare” si intende acquisire nuove metodologie di lavoro, la capacità di ascoltare e di rispettare il pensiero di chi collabora con noi, di effettuare scelte e prendere decisioni anche importanti, allora certamente si.



  
-         Perché sei andato via?

       Sostanzialmente per motivi di famiglia. La vita dinamica e movimentata dei tecnici di una grande azienda coma le FIAT, “obbligati” per lavoro a trasferimenti e spostamenti abbastanza frequenti in altri stabilimenti in Italia e all’estero, mal si adattavano alle future condizioni di vita del mio nucleo familiare. Pertanto, pur a malincuore e non senza rimpianti, ho dovuto rassegnare le dimissioni.




-         Cosa consiglieresti a chi volesse tentare, oggi, questa esperienza?

       Il mondo dell’automobile e la realtà di un simile stabilimento di produzione hanno raggiunto una complessità che mai avevano toccato in passato: riduzione dei costi, miglioramenti della qualità del prodotto, nuove tecniche di produzione per la varietà di allestimenti, di motorizzazioni e di colori, gestione delle risorse. E sono solo alcune delle problematiche stimolanti e, per certi versi affascinanti, che incontrerebbe chi volesse incamminarsi su questa strada lavorativa. E’ sempre difficile, tuttavia, dare consigli: l’importante è avvicinarsi a questo lavoro, sicuramente duro e impegnativo, con determinazione, spirito di sacrificio e soprattutto tanta, tante passione.

  

  
-         Come giudichi l’esistenza di una fabbrica del genere nella nostra regione?

       La presenza dello stabilimento Fiat a Melfi rappresenta certamente uno strumento straordinario di sviluppo, attraverso il quale concepire una uscita, seppure non definitiva, dalla profonda crisi occupazionale ed economica della nostra regione. Bisogna, tuttavia, essere coscienti che non è possibile risolvere i problemi dell’occupazione e dell’economia lucana ignorando o comprimendo i cambiamenti culturali e comportamentali, che si sono verificati negli ultimi anni con la presenza di una grande realtà industriale. Gli interventi da mettere in campo non potranno essere, quindi, quelli tradizionali., ma occorrerà, da parte di tutti, ed in particolar modo da parte degli i prenditori,e dei politici locali, (stranamente assenti, poco reattivi a dalle doti di programmazione limitate) coraggio, creatività, progetti e capacità di gestione.

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