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Potenza, città-capoluogo. La storia, i simboli, l’innovazione
di Grazia Napoli




Parco fluviale del Basento


Tutto comincia e ritorna all’ acqua. E alle pietre, quelle del Basento, che narrano una storia secolare, fatta di vicende vere e leggendarie. Il Fiume come nutrimento, come luogo di svago, come rifugio, come via dei pericoli esterni. Il Basento e i suoi ponti, testimoni della storia millenaria della vita di questa città. Rivestiti di conci calcarei, in pietra o in  cemento, ne scandiscono il percorso.



Ponte Musmeci


L’antica città, circondata da mura, difesa da torri e porte, che, per la sua caratteristica di fortezza fu chiamata Potentia, sorse nell’ alta valle del fiume, a 820 metri d'altezza. La vicenda storica risale all’ età greca e all’ era della penetrazione stradale romana in Lucania, intorno al 150 avanti Cristo. Il primo insediamento, era nell’ attuale rione Murate, dove si stabilirono gli abitanti scesi da Serra di Vaglio, sfuggiti ad un saccheggio dei romani. Potenza fu un centro florido, durante l’Impero. La sua importanza diminuì quando, per l’ascesa di Grumentum, perse la funzione di luogo centrale della vita politica. Saccheggiata da Alarico nel 402, fu aggregata, nel secolo successivo, dai Longobardi, al ducato di Benevento e, poi, al Principato di Salerno.

Sede vescovile dal V secolo, nel X si fortificò a difesa degli attacchi Saraceni. Nel 1268, fu uno dei centri dell’insurrezione ghibellina e vittima di una violenta reazione di Carlo I D’Angiò, che la fece saccheggiare e distruggere. Cinque anni dopo, la devastò un terremoto. Ricostruita, dal 1301 fu feudo di Giovanni Pipino, poi di Roberto Sanseverino e, nel 1435, assegnata da Alfonso d’Aragona ai Guevara. Nel 1604, Enrico Loffredosposò Beatrice de Guevara e divenne Conte di Potenza, fino all’ eversione della feudalità. Coinvolta nei moti anti-spagnoli del 1648; distrutta dal terremoto nel 1694; attiva nei moti repubblicani del 1799; dal 1806 è capoluogo della Basilicata, per decreto Napoleonico. Nel 1857, un altro disastroso sisma provocò 30 morti in città e oltre 9.000 in provincia. Il 18 agosto 1860, a Potenza, prima fra le città italiane, sventolava il tricolore. E’ del periodo post-unitario l’espansione della città verso la periferia e la costruzione della ferrovia e delle prime vere strade di collegamento extra-regionale.


La torre Guevara


Quella di Potenza è storia di distruzioni e ricostruzioni. Rioni su rioni si sono affiancati in una crescita piuttosto irregolare, dopo il bombardamento del 1943. Nell’ 80 e nel ‘90: è ancora terremoto, ed è ancora ricostruzione. Le “cuntane”, i vicoletti del centro storico, i “vicinati”, le “corti”, le piazzette. Ritornano prepotenti nei progetti dell’ultima ricostruzione, attenta ai colori, agli ambienti, alle atmosfere. Un’operazione in gran parte riuscita. La pietra, le insegne dei negozi, le decorazioni della moderna Via Pretoria, tendono a rispettare la storia raccontata da questi antichi palazzi, lungo quello che, per i romani insediatisi a Potenza, era il “Decumano”. Era ed è la strada principale. Divide la città in due versanti, attraversandola longitudinalmente nella parte più alta e più antica. Probabilmente, deve il suo nome ad un’iscrizione romana sulla facciata della Chiesa della Trinità, con inciso il nome di Publio Pretorio.


il Chiostro di San Francesco


Parallela a Via Pretoria, è Via del Popolo. Lastricata di pietre laviche, fu edificata poco prima della visita di re Ferdinando II di Borbone, nell’ autunno del 1846. Lungo il suo tracciato, in periodo francese, il fornaio Pontolillo, aveva già costruito il suo forno e la sua casa, vicino Porta Amendola: una delle porte scomparse della città. Rimane perlomeno il nome di Porta Salza, il cui borgo risale al 1720, anno di una massiccia immigrazione dal contado. Più volte ristrutturato, conserva quasi intatta la propria fisionomia. Qui, come “a protezione” di vicoli intricati, di portoncini di bambola, di ringhiere ricamate si trova la chiesetta di Santa Lucia. Una piccola statua della Santa, opera di Michele Busciolano, richiama i fedeli.

Poco più avanti, austera e maestosa, essenziale nelle sue forme romaniche, è la Chiesa di San Michele Arcangelo. Fondata prima del 1178, l’intitolazione ricorda origini longobarde. In conci di pietra lavorati a vista, ha, nella lunetta del portale laterale, un bassorilievo di fattura recente. L’interno, a tre navate, è diviso da pilastri, che sostengono archi a tutto sesto. Rompono l’austerità: un altare ligneo del XVII secolo dedicato a Sant’ Antonio da ignoto intagliatore lucano; nicchie affrescate, del ‘500; una pala d’altare, del ‘600; dipinti ad olio su tavola, del Pietrafesa, di Antonio Stabile e di Teodoro d'Errico. E’ una mensa di pietra monoblocco, sostenuta da un rocco di colonna del 13° secolo, l’altare maggiore.


La chiesa romanica di San Michele


E’ costellato di luoghi di culto il cammino lungo l’antica Via Pretoria. Dedicata a San Francesco, risale al 1274 la chiesa costruita vicino ad un convento, edificato sui resti di un oratorio proto-romano. Durante la costruzione, nel 1266, una frana seppellì gli operai, che vi lavoravano. Per miracolo, rimasero tutti vivi. E’ un simbolo della città il portale in pietra calcarea, di forme durazzesche, chiuso da un portone in legno di noce intagliato, datato 1499.

Un portale d’ingresso, alla base del campanile e una porta di legno intagliata e traforata è ciò che rimane dell’antico convento. Un portale rinascimentale dà accesso all’ ala sopravvissuta della costruzione fatta dai Guevara nel ‘500. La Chiesa, di forme francescane, conserva un affresco della metà del ‘500, attribuito a Giovanni Todisco di Abriola; un crocefisso policromo del XVII secolo; nicchie con dipinti murali; un'icona della Madonna del terremoto, del XIII secolo. Del 1543, in pietra calcarea, è il sepolcro del nobile Donato de Grasis, che, alla morte, aveva lasciato alla chiesa i propri possedimenti.


Di stile francescano anche >strong>Santa Maria del Sepolcro. Costruita nel casale omonimo, i primi documenti, che ne attestano l’esistenza, come proprietà dei Templari, risalgono al 1310. Resa più imponente dai lavori voluti dal Conte Guevara, nel 1488, fu affidata ai Frati Minori Osservanti. Dell’epoca conserva un portone ligneo intagliato.

Risalgono al ‘600 le decorazioni in oro del contro-soffitto della navata centrale.Più austera, preceduta dall'arco trionfale in pietra, simile a quello di San Francesco, è la zona absidale, la cui volta è sottolineata da costoloni di pietra con il monogramma Cristologico Bernardiniano. Barocco è l’altare dedicato al Preziosissimo Sangue, che, secondo la tradizione, custodisce  una reliquia delle Crociate; essenziale nelle forme il bassorilievo in pietra, del 1519, attribuito al "Maestro di Noepoli". Ancora in centro, antichissima, dell’XI secolo, è la chiesa della Trinità. Originariamente a tre navate e con ben 15 tra cappelle e altari, è stata più volte distrutta dai terremoti e ricostruita, nella veste attuale, dopo quello del 1857. Rimangono negli occhi del fedele e del visitatore, le decorazioni alle pareti e al soffitto  realizzate negli anni ’30 dal pittore Mario Prayer e il disegno della calotta absidale, traforata. In ogni elemento: un simbolo dello Spirito Santo.

In uno dei punti più alti della città, dedicata al Santo Patrono, è la Cattedrale di San Gerardo, ricostruita alla fine del XVIII secolo su progetto dell’architetto Magri, allievo di Vanvitelli. Una scalinata semicircolare introduce all’ ingresso dall'imponente portone di bronzo, con motivi ripresi dalla tradizione potentina e temi della cristianità. La chiesa esisteva già nei secoli V e VI d.C., come testimoniano reperti ritrovati sotto il coro. Di quell’epoca sarebbero anche i frammenti di un mosaico di una preesistente Basilica paleocristiano. La Cattedrale ha una cupola affrescata e 8 altari. Le due Cappelle, nei bracci del transetto, sono dedicate: al Santissimo Sacramento e a San Gerardo. Qui se ne conservano le reliquie in un’urna sotto l’altare. Nella Cappella si mescolano influssi medievali, barocchi e ottocenteschi, frutto dei diversi rifacimenti della chiesa, che, pare, furono almeno dieci, voluti dai vescovi e “imposti” dalle ripetute calamità naturali.

E’ una grande venerazione quella che i cittadini hanno per San Gerardo della Porta da Piacenza, Vescovo di Potenza nel XII secolo, che sostituì, nei cuori dei potentini, il vecchio patrono, Sant’Aronzio. I riti di maggio, legati alla fecondità della terra e del raccolto, furono associati alla Sua festa e a quella che è l’unica, vera, forte tradizione potentina, secondo cui il vescovo, con una schiera di angeli, avrebbe fermato i turchi sbarcati a Potenza, navigando il Basento. Nel luogo dove si ritiene sia avvenuto il miracolo si trova, oggi, a devozione del Santo, un Tempietto, opera di Michele Busciolano. In segno di buon auspicio e per tradizione, quell’ evento viene rievocato ogni anno, il 29 maggio, con la Sfilata dei Turchi. Una nave con un piccolo San Gerardo benedicente; il Gran Turco, familiarmente chiamato “Cipollino”, attorniato da odalische, turchi inanellati, turchi-servi e turchi-soldati; il Carro con l’effigie del Santo. Elementi simbolici di una grande festa, accompagnata da squilli di trombe e da rulli di tamburo, ma anche dagli strumenti tipici dei contadini lucani: veri, incontrastati protagonisti. La festa religiosa si compie il giorno dopo con la processione e la celebrazione della messa.

Alla città appartiene anche il Beato Bonaventura di cui rimane la casa natale, del ‘600, trasformata in cappella agli inizi del ‘900.




Figura 5 - Palazzo Arcivescovile



Quella di Potenza è storia di lotte, di guerre, di fortificazioni. E’ quasi la continuazione del Palazzo Arcivescovile la cinta muraria, che, da Porta San Gerardo definisce l’extra-murale potentina e si allunga fino alla torre del Palazzo Bollettino, che continua, poco più in là, con Porta San Giovanni. Sul versante opposto: Porta San Luca, che prende il nome dall'attiguo, omonimo convento, teatro delle vicende narrate da Carlo Alianello ne “L’eredità della Priora”. Entro le mura: i palazzi dei nobili potentini. E’ del XVII secolo il palazzo Bonifacio. Nel cortile interno: feritoie e mascheroni con ganci per legare i cavalli testimoniano dell’uso fattone come fortino.



Figura 6 - Palazzo Loffredo



Chiuso tra due piazze, è Palazzo Loffredo, rara testimonianza dell’edilizia nobiliare del XVII secolo. Completamente restaurato, è sede del Museo Archeologico della Basilicata. Fu fatto costruire dal conte Carlo Loffredo nel 1612 e la famiglia lo tenne fino al 1801. In passato, ha ospitato il Convitto Nazionale e il Conservatorio “Gesualdo da Venosa”. Lo caratterizzano un loggiato in pietra con archi a tutto sesto e finestre su mensole.

Di fronte: Palazzo Pignatari, col portale in pietra a grandi bugne. Da restaurare è Palazzo Biscotti: uno dei migliori esempi dell’architettura gentilizia del XVIII secolo; ancora abitato, invece, Palazzo Giuliani, il cui balconcino è intatto, come due secoli fa. Si narra che, a quel balcone, rivolgessero lo sguardo i condannati a morte diretti a Montereale: se il nobile Giuliani fosse stato affacciato, avrebbero ottenuto la grazia. Nel borgo di Porta Salza, è Palazzo Marsico, in pietra, con mensole a sostenere le soglie delle finestre. In questo perimetro antico si svolge, ancor oggi, in gran parte, la vita economica, culturale e sociale della città, che non ha mai perso il senso della Piazza, nell’ antico significato di “luogo di incontro”, “di riunione”, “di amicizia”. Rievoca i moti del 1860, Piazza 18 agosto, principale snodo delle vie cittadine e, nel ‘700, sentiero di accesso alla città da Taranto, Napoli e Laurenzana.


In passato era Piazza Sedile, la Piazza del Seggio del Popolo, la moderna Piazza Matteotti, su cui si apre il Palazzo del Municipio, in restauro dopo il sisma dell’80. Esisteva già nel Medioevo. Sul lato destro, incassata nell’ angolo di un fabbricato, una cariatide: probabilmente, quanto rimane dell’antica chiesa di San Nicola.  

Nel 1844, l’Intendente Francesco Benso Duca della Verdura fece costruire due piazze: la più bella piazzetta del centro storico, fino a non molti anni fa piccolo mercato; oggi: ritrovo per manifestazioni culturali e ricreative; e la più importante Piazza, oggi dedicata a Mario Pagano. E’ il simbolo della vita cittadina, governativa e culturale. Accanto all’ ottocentesco Palazzo del Governo, ne chiude un lato: il Teatro Stabile. E’ un piccolo gioiello, che ripete, nell’ architettura e nelle decorazioni, i motivi del Teatro “San Carlo”, di Napoli. Opera della borghesia potentina, fu costruito tra il 1857 e il 1880, in una città con solo 15.000 abitanti, per iniziativa di privati cittadini. Ospita stagioni teatrali di rilievo nazionale.


Al Rione Santa Maria, è il Museo Archeologico Provinciale, in cui si ripercorre la preistoria lucana, nei ritrovamenti di Armento, Anzi, Garaguso. I reperti provengono in prevalenza dagli antichi santuari. Come la pietra informe, del VI secolo avanti Cristo, del Santuario di Apollo Licio a Metaponto; la maschera votiva di Garaguso; le terracotte architettoniche di Serra di Vaglio; le lastre dei cavalieri di Braida; il disco di Mefite, del II secolo avanti Cristo, di Rossano di Vaglio. Il pezzo più famoso: un torso di kouros, del V secolo avanti Cristo, forse una statua di Apollo, opera di scultori locali, che avevano assimilato l'arte delle popolazioni elleniche.

E' un “contenitore culturale” di arti figurative, la Torre Guevara, anteriore all'anno 1000. Era la torre merlata dell'antico castello, che, sulla vallata, rimaneva a guardia della città. Appartenne ai Sanseverino e ai Loffredo-Guevara, che, nel 1626, lo donarono ai Frati Cappuccini, per farne un convento e un ricovero per i malati. Fu, infatti, la prima sede dell'Ospedale “San Carlo”, che, negli anni '30 di questo secolo, fu trasferito nella sede di Santa Maria, accanto ai padiglioni manicomiali e al policlinico “Gianturco”. Dal 1977, la più grande struttura ospedaliera della regione è in un modernissimo complesso, a Macchia Romana, che raggiungerà i 1130 posti letto. Poco più in là: il Campus Universitario, con le facoltà e le Scuole di Specializzazione dell’ Ateneo lucano, inaugurato nel 1983. Ponti verso la modernità per una città, che, grazie a vie di comunicazione più agevoli è riuscita a superare l’isolamento e ad inserirsi nel tessuto economico e sociale del Paese.


Via Pretoria - antico decumano diventato il salotto della città


Potenza rimane, essenzialmente, città impiegatizia, centro della politica, dell'amministrazione, degli uffici decentrati di ministeri e istituzioni. La città si attrezza per ricevere chi la raggiunge per lavoro, per turismo, per necessità. Lo fa con moderne strutture ricettive; offrendo ospitalità e genuinità nei ristoranti, che propongono i piatti tipici di una cucina povera, ma gustosa, in cui dominano i sapori dei prodotti della terra, delle paste fatte in casa, dei vini e dei salumi. Lo fa anche migliorando la qualità dei servizi. La mobilità moderna si serve di collegamenti verticali, che avvicinano centro e periferia. La tecnologia non sovrasta, però, ancora, l'ultimo tentativo di difesa dei “polmoni verdi”. Proprio in pieno centro è lo storico Parco Montereale; in periferia, la villa di Santa Maria, una volta orto botanico potentino; appena fuori città: il parco San'Antonio la Macchia, con la chiesetta dedicata al Santo.

La città, dall'alta valle del fiume, appare sempre più estesa, sempre più moderna, verso il basso. Modernissime costruzioni ospitano gli uffici della Regione, delle Poste, delle Banche. Chi arriva a Potenza li scorge subito, da un ponte ultramoderno, costruito negli anni ‘70: vero esempio di architettura applicata alle grandi strutture. E’ il Ponte Musmeci. Una vera opera d’arte.
Sotto le sue arcate: ancora il Basento, perché la storia di una comunità in cammino ritrovi, comunque,  le proprie origini.

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