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Paul Auster, la sua eredità secondo me
di Grazia Napoli


Ho letto Baumgartner durante il tragitto di due viaggi in treno. Andata e ritorno da Roma. Ho sentito in quelle parole una malinconia più marcata – se possibile – rispetto agli altri libri. Una “presenza” non dichiarata – almeno non sempre – della morte. E’ stato l’ultimo libro che ho letto di Paul Auster, un paio di mesi fa. Ora capisco quella grande maturità del personaggio nel parlare di temi cosi definitivi. Era legata al momento di vita dell’autore.


Paul Auster


Paul Auster se ne è andato a 77 anni, dopo 4 di malattia. E ci ha lasciato quest’ultimo breve capolavoro, che completa il ciclo delle narrazioni, a cui l’autore americano ci ha abituato. La città protagonista – New York come la sua Newark – che si fa personaggio e ingloba le solitudini, i sentimenti, le aspirazioni degli uomini e soprattutto i ricordi.

Nella letteratura post moderna di cui Paul Auster è stato grande interprete c’è sempre tanta metropoli, tanta decadenza, tanto contrasto tra vecchio e nuovo. Al centro: l’uomo con la sua solitudine, alla continua ricerca di un centro, nei rapporti, nei sentimenti, nei ricordi. Una ricerca che rimane quasi sempre irrisolta, precaria, priva di speranza. Le esistenze si dipanano con pochi legami e nel silenzio di  piccoli appartamenti, intorno a cui brulica la città. Enorme. Sporca. Indifferente.

La Trilogia di Paul Auster racconta questo. Baumgartner è già più lontano da tutto questo. Esprime una mancanza che si rifugia nella memoria. Cerca di acchiappare e ingabbiare i ricordi, della moglie morta e della sua vita. Trascorre il tempo in piccoli gesti abitudinari, che servono a preservare ciò che è stato.

Io, anglista europea e con il culto della letteratura inglese, ho dato tanto spazio nelle mie letture a questo gigante americano, dopo aver letto Follie di Brooklyn, regalo di Natale di un collega. Quindi quasi l’intera produzione. Ho anche letto qualcosa in lingua. Poco. Mi ha sempre affascinato il peso che in quei libri si da alle esistenze, ma anche alle parole. Ad ogni singola parola.

Sapere della sua morte mi ha addolorata e disorientata. La Trilogia è sempre sul tavolo accanto ai libri di Virginia Woolf e Ian McEwan. I miei post moderni riferimenti anglisti. Rileggerò qualcosa.

Solo qualche anno fa avevo scritto con una sana, simpatica invidia al mio collega Oliviero Bergamini, che aveva avuto la fortuna di incontrare Paul Auster e intervistarlo.

Oggi siamo tutti un po’ più soli a leggere il nostro presente.




  
  
  


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